(Candlelight Records/ Spinefarm Records) Nell’arcaica Inghilterra l’arrivo della prima luna piena invernale era detto ‘winterfylleth’. Figli di Manchester, i Winterfylleth hanno portato avanti negli anni il loro bagaglio culturale, storico, popolare. Loro sono il black metal pagano e viscerale d’Inghilterra che pochi anni fa hanno reclutato il nuovo chitarrista Russell Dobson, perché Dan Capp ha trovato altro da fare. Tredici album, il precedente quattro anni fa, e una band che resta nel suo ambito musicale evocativo, convinta nel tratteggiare scenari maestosi, epici, magari dai toni antichi eppure rivolti al presente. Infatti Chris Naughton dice che “The Imperious Horizon” è la spiegazione di uno stato d’animo che fluisce da «come se stessimo vivendo in un mondo più diviso e sconvolto da allora! [da quattro anni fa, ndr] Il titolo parla di un senso incombente di un qualche potere dominante o programma che sta arrivando, appena oltre l’orizzonte». Leggendo ciò si pensa a cosa era il mondo proprio quattro anni fa ma non si rinuncia a riflettere su cosa sia adesso e verso dove sia rivolto. “The Imperious Horizon” è una continua fuga, uno scappare velocemente da qualcosa, attraverso riff intrisi di elodie, tastiere che troneggiano su queste melodie, una batteria invasata, nervosa, insistente. Il black metal dei Wynterfilleth è saturo, senza una dinamica precisa, con pochi scorci in mid-tempo e con quello stratificarsi dei suoni che sprigiona una coltre che produce atmosfere fredde e spesso evocative. Malinconico, atmosfere sature, passo sempre svelto, “The Imperious Horizon” non è del tutto immediato perché chiuso su sé stesso, non scioglie mai la sua tensione emotiva e sulla distanza appare come un blocco con scarse variazioni di stile.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10