(Atomic Stuff Record) Dannati X-Ray Life. Mi confondono, mi depistano. E proprio quando pensavo d’aver capito, mi trovo -nuovamente- nel casino più totale. Ma andiamo con ordine. Quando recensii il loro omonimo debutto si parlava di grunge, con mio estremo dispiacere, ma in realtà il lavoro era pura energia con un discendente malinconico e decadente: un disco geniale, creato da artisti talentuosi. Lo adoro tutt’ora. Successivamente li vidi dal vivo, e tutto si sconvolse di nuovo: una band pazzesca, animali da palcoscenico, instancabili, dinamici, con chitarre fantastiche e quel vocalist che sul palco uccide la sua apparente timidezza o introversione per trasformarsi in un tornado incontrollabile. Quindi mi ritrovo con una band che pensavo grunge, ma che non lo è, che è molto profonda, tecnica e riflessiva, ma che sul palco è capace di distruggere tutto. Ma allora le cose stanno solo diventando più feroci? No… anzi “si”, se consideriamo il punto di vista emozionale, però decisamente “no” se parliamo di puro impatto sonoro. Infatti, con un titolo assolutamente geniale la band Italiana sceglie cinque pezzi dal suo album e li ripropone in chiave unplugged, dando origine ad una ulteriore nuova dimensione di valutazione di questa realtà musicale. Davvero, non ci potevo credere, ed aggiungendoci un pizzico di cattiveria confesso che mi aspettavo le solite canzoni dure suonate senza distorsore o strimpellate con una classica… ed avrei sbagliato, un errore terribile, mortale. “Skinned Songs…Naked Sound” ridisegna le canzoni scelte, che diventano sostanzialmente nuove, confermando la teoria secondo la quale la pesantezza o la dolcezza di una melodia è data dal modo con il quale viene suonata, facendo si che il riff di metallo più estremo possa risultare blando, mentre la melodia più rilassante e gioviale possa diventare tagliente e massacrante quando eseguita con la giusta rabbia. E si tratta infatti di un nuovo percorso, di una nuova strada, che si apre davanti all’ascoltatore che si incammina in questi quasi venti minuti di poesia, melodia, ricerca dell’arpeggio, genialità. “Everyone Is A Star”, che in origine è carica, cadenzata, quasi volgare e volutamente antipatica, su questo unplugged raggiunge un livello emozionale sublime, e -considerato che amo la sua musica e la sua voce- non posso non paragonare ciò che sento a Chris Isaak, complice un vocalist immenso e quel sassofono che riesce a costruire teorie melodiche quasi erotiche. Calda e piena di emozione l’esecuzione di “Hey”, mentre “Devil On Earth” cambia completamente rispetto la versione “originale”: la voce calda di Mattia è colossale, specialmente se consideriamo che sulla versione “hard” è filtrata da effetti che ne annientano la pulizia ed il calore; ma se l’originale è pensata per essere cattiva e feroce, la versione unplugged, grazie anche ad una certa orchestrazione, diventa poesia malvagia, poesia oscura, un coinvolgimento pieno di dolcezza che porta alla condanna eterna. Il lavoro finisce con “Charlie The Shepperd”, la quale mi fa pensare che è molto interessante fare un gioco di questo tipo: provatela “plugged”, scatenatevi, e poi sentite la nuova versione; semplicemente geniale, con una atmosfera di antico rock’n’roll, quasi blues, quasi southern. Ho avuto a che fare con questa band tre volte, in tre contesti diversi: mi sorprendono ogni volta, e sembra continuino a sorprendermi, pertanto non oso immaginare cosa possa seguire. Inizio a sentire una certa ansia, lo devo confessare. La cosa sicura è che questo è un unplugged assolutamente geniale, diverso, in un certo senso innovativo, capace di dare ampio spazio agli artisti di giocare con le loro stesse canzoni, offrendo una panoramica chiara e ben delineata delle immense doti tecniche, compositive e stilistiche di ciascun membro della band.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10