(Debemur Morti) Da Bordeaux, Francia, gli Year of no Light ci sottopongono il loro terzo full-“length”, che segue a una miriade di split e progetti minori: un sound oscuro, che si divide quasi equamente fra doom, post metal e drone, si riversa sull’ascoltatore da questo monolitico disco strumentale. Mai come in questo caso, credo sia inutile (se non addirittura fuorviante) descrivere i brani singolarmente: del resto sono solo 5, e in quattro casi superano i dieci minuti di durata. Il disco va ascoltato come un fluire continuo, con le chitarre in continuo riverbero, le tastiere lontane ed enigmatiche, il lavoro della batteria centrato spesso sui tom e sui suoni più cupi; e il tutto va letto nell’ipnotica alternanza di quiete apparente, melodica, quasi rilassata, e le improvvise esplosioni sonore, disorientanti e caotiche. I riferimenti che sento io sono innanzitutto gli Anathema: alcuni passaggi – ad esempio la fine della titletrack, che ricorda la durezza di “Pentecost III” – rimandano alla prima fase della carriera della band inglese, altri – i fraseggi a metà della conclusiva “Alamut” – fanno invece pensare alle ultime uscite. Ma direi che nel sound di questa band ci sono anche i Paradise Lost (naturalmente quelli degli anni ’90), e non credo di dire una sciocchezza se faccio il nome dei The Ocean (soprattutto per l’uso delle chitarre). Un viaggio sono necessariamente riservato a una élite (quanti di voi sono pronti a una media brano di 11 minuti per un pezzo strumentale?), ma che ha il suo profondo e tenebroso perché.
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10