(Atomic Stuff Rec.) Ma cosa ha combinato Nicola aka Yerbadiablo? Oh signore, ha realizzato l’album della maturità! Direi che questo è quanto possa dire su “It Doesn’t Work”. Rispetto a “Jester in Brick Lane” (QUI) trovo meno vivacità, ma non meno idee. “It Doesn’t Work” è comunque tutto ciò che Yerbadiablo rappresenta: argomenti testuali, melodie, rock e confratelli, come jazz, funky, punk ecc., strumenti canonici del rock, l’organo e i fiati. “Hemp Generation” è il manifesto di tutto questo. Apre l’album con il suo essere una canzone che quasi si spacca in due per come è strutturata e va avanti per oltre 5′ e mezzo, ma che con quella linea melodica andante e le sue improvvisazioni ti sembrano 10′ in totale. C’è psichedelia elettronica. Manco fosse Brian Eno Nicola, eppure “Eurozone” è un momento un synth solitario recita letteralmente. “Black Bird” gioca con un giro dell’elettrica priva di distorsioni, al di sopra la voce va avanti e tutto quasi ti ricorda i Beatles…ma, non è che quel titolo e quel testo con alcune cose udite parlano dei Quattro di Liverpool? Possibile, ma io non ho i testi. Esistono comunque diverse canzoni basate su un’anima acustica che sanno essere affascinanti. L’anima latina c’è, ancora. Meravigliosa in “Imbunche”, tribale, latina, con il sax che si ritaglia il suo spazio e porta il brano ad essere qualcosa di fusion. Altra strumentale interessante, pacata. matura. A questo punto sono a metà delle canzoni e mi rendo conto che Yerbadiablo ha prodotto qualcosa di più misurato, ma allo stesso tempo ancora più libero di scegliere ciò che sente. Roba latina, spagnoleggiante e ancora dei testi in lingua iberica, su un blues ossuto e diretto, vedi “Calavera y Veneno”. E “!Crash”? Il punk del quale si diceva più su, ma “Habemus Punk” è addirittura superiore, garantisco. Chiude la tredicesima canzone “Pink Clouds Purple Eyes”. Su questa faccio un discorso prettamente personale e forse anche infondato, ma voglio espormi. A me ricorda un giro di chitarra dei Pink Floyd, in particolare qualcosa sito in “Ummagumma”. Quell’atmosfera del primo dei tre movimenti di Gilmour mi sembra di percepirla in questa andante, suadente e intimista progressione di quasi 7′. Ora, dico io, sapete cosa vuol dire reiterare un giro di chitarra tra un’acustica e un’elettrica per quasi 7′ dopo 40′ di canzoni che mutano aspetto e non sono mai identiche tra loro? Ferma, non arrivate a conclusioni. E’ Yerbadiablo, cioè qualcuno (in realtà oggi il progetto è stato tramutato in una vera e propria band) che fa esclusivamente ciò che sente, altrimenti non sarebbe questo. “It Doesn’t Work” non è inferiore a “Jester in Brick Lane”, forse è addirittura una sua prosecuzione, ma per comprenderlo fate prima come me, prendetevi del tempo veramente libero per capirlo.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10