(Ashen Dominion) In dieci anni di esistenza gli ucraini Ygg hanno pubblicato solo, questo compreso, due album. Ma la potenza e l’essenza dei loro brani dura nel tempo, oltre il tempo, grazie ad un misticismo atmosferico, pregno di paganesimo slavo che si materializza in un black metal molto carnale, viscerale, diretto ma deliziosamente intenso, coinvolgente… diabolicamente suggestivo. Non serve notorietà o immagine quando con quattro brani si è capaci di trasmettere delle così tetre ma anche malinconiche sensazioni, sferzate da una arcaica rabbia arcana, come se le tempestose origini del mondo venissero espresse con una selvaggia cattiveria animalesca, molto lontana dal concetto ‘umano’, vicinissima al una dimensione la quale si distingue per una fiera purezza selvaggia. Tra il black e l’etnico, tra l’atmosferico ed il folk: i quattro brani di questo album rappresentano con impeto l’essenza del black, sia nella sua integrità tradizionale che nelle sue varianti ispirate a folk ed a musica etnica, dando vita ad ambientazioni tanto ipnotiche quando laceranti. Percussioni folk sostengono un lungo assolo di scacciapensieri (strumento etnico comune a tante popolazioni, comprese quelle della Siberia) nella opener “Mertvye Topy”, per poi esplodere in un black puro, tirato, ma coronato da note melodiche ricche di intensità; le linee vocali sono devastate e strazianti, tra scream e urla mentre la rimica là sotto genera un groove mastodontico, prima del rallentamento atmosferico del finale esaltato da un mid tempo doomy sopra il quale torna minaccioso lo scacciapensieri. Immensa la title track (“Poslednyi Ckald”): dettagli DSBM percorrono sentieri tragici stuzzicati da suoni cristallini (per certi versi mi ricordano i Lunar Aurora), esaltati da divagazioni melodiche e intensificati dallo scream letale. Pulsante e travolgente “V Nadezhde O Vechnom”, un brano che denota tendenze che a volte richiamano i Silencer, ma sempre su un mid tempo incalzante ed evocativo. La conclusiva “Visa Probudzhennia” apre con un lungo arpeggio sensuale, ancora tocchi di scacciapensieri che si intrecciano con la chitarra, aprendo all’atmosferico, esplodendo in un black efferato, ancora cadenzato, ancora ricco di groove, ancora melodico. Registrato in maniera efficace, il disco vanta linee di basso che emergono possenti, chitarre ritmiche affilate come lame di rasoio, melodie affidate ad un tremolo micidiale, un drumming schietto ed emozionante, una voce massacrante e della strumentazione etnica collocata con geniale intelligenza. “The Last Scald” è black metal di una purezza sconcertante, una battaglia furiosa e benedetta da una sanguinaria gloria eterna. Un album poderoso, destabilizzante e maledettamente inquietante!
(Luca Zakk) Voto: 9/10