(Autoproduzione) Ogni volta che ascolto gli Zora, per me equivale ad un viaggio nel tempo. Mi sembra ieri, eppure son passati ben tredici anni da quando mi sono imbattuto per la prima volta in Giuseppe “Tato” Tatangelo, leader della band vibonese, in cui da sempre suona il basso, mentre in quest’ultima release si cimenta anche dietro il microfono, cavandosela egregiamente. Ricordo che ci siamo messi a parlare di musica, scoprendo una comune passione per il brutal death, oltre che del metal in tutte le sue forme, e che mi aveva invitato a vedere l’esibizione poche sere dopo dei Glacial Fear, dove anche in questo caso, Tato ricopre il ruolo di bassista. Dopo il concerto, lo vedo avvicinarsi con un in mano il demo “Dismembered Human Race”. Con un misto di curiosità e scetticismo, una volta a casa inserisco il dischetto nel lettore, venendo spazzato via dalla furia omicida sprigionata dal brutal death della band. Il 2005 è la volta del mini album “U.V.A.”, un lavoro forse meno istintivo e maggiormente curato, con richiami a cose più tecniche e moderne come Dying Fetus ed ultimi Suffocation. Un’evoluzione culminata nel full length “Gore”, un album brutale e rabbioso, ma talvolta fin troppo perfetto, tanto che la furia esecutiva ne risultava parzialmente smorzata. Una furia recuperata alla grande in questo “Scream Your Hate”, album che già dal titolo promette rabbia a profusione, un odio incontrollabile, incanalato in questi nove brani. Su “Scream Your Hate”, il terzetto calabrese (oltre a Tato troviamo Gianluca Molè alla chitarra e Giampiero Serra alla batteria) sembra avere badato più alla sostanza che alla forma, con canzoni molto ritmate, incalzanti e che non si perdono in troppi orpelli ed abbellimenti inutili, il tutto mediato da una crescita tecnico/compositiva notevole. Buona la prova di Tato dietro il microfono, che sfodera una prestazione cruda ed istintiva, che ben si adatta al concept del disco. Oltre alle già conosciute “Slave Of Mind” e “Abracadacab”, mi ha colpito molto il brano “Blinded”, autentica mazzata tra capo e collo, con un riff orientaleggiante nella parte centrale. Un album devastante e maturo dal punto di vista compositivo, che riunisce in maniera ottimale la furia esecutiva degli esordi con l’accrescimento tecnico maturato negli anni.
(Matteo Piotto) Voto: 8,5/10