Forti di un album ispirato e riuscitissimo che risponde al nome di “The Rain After The Snow” (trovate la recensione QUI), i Dark Lunacy sono tornati e molte cose sono cambiate rispetto al passato… o forse no? Scambiamo quindi due parole con il leader Mike Lunacy rispetto a passato, presente e futuro del gruppo…
MH: Intanto un saluto dalla redazione di Metalhead.it. E complimenti per la vostra ultima fatica, un album davvero riuscito! Cominciamo l’intervista proprio parlando di “The Rain After The Snow”. Sbaglio o pur rimanendo al 100% un album Dark Lunacy, ci sono non pochi elementi di novità? Azzarderei a dire che forse questa release è un po’ una svolta nella vostra carriera…
ML: Un saluto a te e a tutta la redazione e naturalmente il mio più sentito ringraziamento per i complimenti che hai rivolto a “The Rain After he Snow”. Parto agganciandomi alla tua riflessione confermandoti che in questo disco siamo sicuramente davanti ad un’evoluzione significativa. Si è lavorato con grande attenzione su ogni singolo elemento, allo scopo di sviluppare e plasmare in un unico pensiero le sonorità del passato con la maturità artistica che nel corso degli anni si è via via rafforzata attraverso un percorso di crescita costante. In sostanza, i Dark Lunacy con questo album hanno voluto rappresentare se stessi attraverso un racconto che partendo dagli albori della loro storia arriva nel nostro tempo in una veste assolutamente attuale, con la sicurezza di chi sa dove vuole arrivare perché conscio di una forza acquisita nel tempo.
MH: Diciamo che forse non ero l’unico a pensare ormai che i Dark Lunacy fossero ‘quelli che fanno Death e parlano delle Russia…’. Una esagerata semplificazione chiaro, ma è forse una simile riflessione da parte vostra che vi ha portato a cambiare le carte in tavola o possiamo dire che invece il vostro ultimo lavoro non è altro che una naturale evoluzione del vostro suono?
ML: Cercando di semplificare il concetto, non parlerei di una scelta dettata dalle analisi “commerciali” del passato. Si è trattato semplicemente della necessità di chi ti sta parlando di ritornare alle origini romantiche degli albori. Di ripercorrere i sentieri che hanno permesso ai Lunacy di diventare una band di respiro internazionale. È stato come ritornare a casa entrando dalla porta principale e portare in dono a me stesso uno spirito rinnovato e fortificato dalla consapevolezza e da una maturità acquisita negli anni.
MH: Curiosità tutta mia… Perché proprio la patria dello Zar è stata al centro di tanti vostri lavori? E’ un posto che ti affascina? Ci sei mai stato?
ML: La passione per la storia e la cultura Russa in generale arriva ancor prima della nascita dei Dark Lunacy. Essendo appassionato di letteratura classica i grandi scrittori Russi hanno inevitabilmente contribuito ad individuare in questo grande paese il fulcro dei miei interessi. Questo mi ha spinto ad intraprendere diversi viaggi in quelle terre. Se però dovessi identificare il preciso momento storico nel quale la passione si trasforma in amore è senz’altro legato ad un soggiorno che feci a San Pietroburgo, nel 2003. Quando vidi le cicatrici ancora ben visibili dell’assedio che la città (la allora Leningrado) dovette subire e fronteggiare tra il 1941 ed il 1944. In quei giorni conobbi la storia dei 900 giorni di Leningrado. Un’epopea che attraverso la testimonianza dei leningradesi espressa ancora oggi per mezzo di opere monumentali ci racconta con inaudita potenza le sofferenze e al contempo la gloria di un popolo che non volle arrendersi. Da qui è cominciata la voglia di addentrarmi sempre più nella storia, alla continua ricerca dedita a scoprire i dettagli su cosa accadde in Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale. Ricerche e scoperte che in seguito ho avuto il privilegio di poter raccontare attraverso alcuni album dei Dark Lunacy.
MH: Sei ormai l’unico superstite della prima formazione e di fatto sei un po’ il filo conduttore del gruppo. Lo senti più un tuo progetto a cui lasci di volta in volta partecipare varie figure o allo stato attuale ti senti di dire che tu e il bassista Jacopo Rossi siete la band vera e propria? Di fatto l’album è stato scritto da Rossi… Insomma, sembra una sinfonia a quattro mani questo lavoro… Od ormai il tutto riguarda solo un tuo personale progetto?
ML: Il giorno in cui scriverò un album approcciandomi ad esso con la mentalità di un progetto personale, lo presenterò come il disco solista di Mike Lunacy. Questo per dirti che, dal primo istante di vita ad oggi i Dark Lunacy sono sempre stati e sempre saranno una band a tutti gli effetti. Un gruppo coeso, all’interno del quale ogni musicista è invitato a portare la propria anima. Il mio compito è quello di individuare il percorso vincente e dare agli altri la motivazione di perseguirlo. Credo che un leader abbia come obbiettivo primario quello di infondere fiducia e vigore attraverso il proprio esempio, mettendo davanti a tutto il desiderio totale di ascoltare gli altri, raccogliere le opinioni, i sentimenti di ogni musicista e da lì costruire un album. Parlando nello specifico di “The Rain After The Snow”, quando Jacopo a suo tempo mi fece ascoltare le idee che aveva scritto, capii immediatamente che eravamo davanti a qualcosa di estremamente importante. Inoltre, ebbi l’intuizione che per arrivare al risultato che al momento avevo soltanto disegnato nella mente avrei dovuto lasciarlo andare in totale libertà poiché l’ispirazione che trasudava da quelle note era incontenibile e doveva emergere fino all’ultima goccia. A quel punto parlai con il resto della band, spiegando loro che la stesura sarebbe iniziata da Jacopo e che Jacopo avrebbe portato a termine tutti i brani. Noi saremmo entrati successivamente portando all’interno di queste canzoni le nostre qualità di musicisti per andare (qualora ce ne fosse stato bisogno) a valorizzare ulteriormente l’opera. Però la mia proposta fu respinta ed anche in maniera piuttosto…. “solida”. A quel punto la scissione divenne inevitabile e anche la soluzione migliore. Voltato la pagina (o chiuso il capitolo se preferisci), venne il momento di mettere in essere queste idee che trasudavano ispirazione ad ogni nota. Così, nel giro di pochi mesi, mi trovai tra le mani “The Rain After The Snow”. Un disco in cui Jacopo ha composto ogni nota, arrangiando il quartetto d’archi, i cori e suonando il pianoforte a coda. Questo è ciò che sognavo di ascoltare quando decisi di iniziare a lavorare al nuovo disco. Questo è quello che immaginavo quando ti accennavo all’importanza di lasciar correre libera un’ispirazione, indipendentemente che sia tua a di chi ti è a fianco e ha le idee chiare. Questo è ciò che intendo quando ti parlo di una band matura.
MH: Il sodalizio con la Fuel dura da molto. Vi trovate bene con questa realtà discografica?
ML: Credo che le risposta in questo caso sia nella domanda stessa. Nel senso che un sodalizio che dura ormai da 15 anni rispecchia la profondità di questo rapporto. I fattori sono sostanzialmente tre. Il primo è nei fatti. Nonostante la caduta del mercato discografico, i Dark Lunacy sono riusciti a fare breccia in alcuni paesi importanti come Russia e Giappone. Questo è stato merito della nostra musica e dalla Fuel Record che ci ha dato fiducia, fin da tempi non sospetti, sostenendoci ad oltranza. Il secondo è nei numeri. Più la Fuel investe, più noi portiamo alla Fuel risorse. Questo consente all’etichetta di reinvestire costantemente su di noi, darci a disposizione addetti ai lavori di assoluta preparazione i quali si occupano della band in maniera impeccabile… quasi maniacale e questo aumenta la nostra resa produttiva sotto tutti i punti di vista. Il terzo è sentimentale. È il rispetto che ci siamo reciprocamente guadagnati con il lavoro e la serietà nel farlo e il profondo apporto umano che ne è scaturito.
MH: Pensi che avreste la libertà in futuro di eseguire un album con una vera orchestra alle spalle in sede live? Sarebbe una cosa che vi interesserebbe fare?
ML: Ovviamente sì. In realtà abbiamo parzialmente coronato questo sogno al Metalitalia Festival 2015, durante il quale ci siamo esibiti per la prima volta col quartetto d’archi, nostro “marchio di fabbrica”, ma con questo album mi piacerebbe fare lo step successivo e cioè poterci esibire anche con il coro ed il pianoforte. Sfortunatamente penso che sarà molto difficile, ma se ci fossero le giuste condizioni non esiteremmo a farlo.
MH: Com’è stato inserire un coro di parecchi elementi in un vostro album? Già ci avevate lavorato in passato nei vostri lavori precedenti o si trattava in quei casi di basi?
ML: Ad esclusione dei cori di “Devoid”, che erano stati eseguiti da una formazione molto più piccola di quella usata per l’ultimo album, tutti quelli degli altri album (e quello di Forlorn) sono stati presi da altre registrazioni ed utilizzati per i nostri pezzi. Per quest’album invece abbiamo voluto fare tutto da zero, ed è stato davvero figo. Sia io che Jacopo siamo sempre stati affascinati dagli ensemble di voci umane, dalla comunicatività che riescono ad avere in termini di emozioni, di pathos, quindi nel momento in cui Jacopo ha cominciato a scrivere “The Rain After The Snow” ha lavorato su diverse parti per coro in modo che questi avessero un ruolo centrale nei pezzi, andando a cantare anche parti di testo assieme a me oltre che temi portanti. L’apice della centralità del coro si è toccata nella titletrack, nella quale Jacopo ha voluto “osare” molto ed io l’ho ovviamente appoggiato: la canzone infatti è stata realizzata pensando al coro come se fosse la voce solista del brano, che doveva quindi cantare tutta la melodia e tutto il testo (ad eccezione di una strofa); solo che, invece di essere un cantante, era un coro di 40 persone armonizzato a 4 voci. Non mi viene in mente nessuna band metal che abbia fatto un pezzo così, in questi termini, quindi ne sono molto orgoglioso; poi beh, considerando le migliaia di band che esistono, qualcuno ci sarà di sicuro, però non conoscendolo, al momento siamo consapevoli del nostro ‘azzardo’.
MH: Come è stato registrato l’album? Avete registrato in sedi separate o vi siete trovati ad incidere faccia a faccia?
ML: Registrare è sempre bello, quando poi c’è particolarmente entusiasmo per il materiale che si sta andando ad incidere lo è ancora di più, e questa è stata una di quelle volte. Lo studio scelto per realizzare quest’ultima fatica è il Blackwave studio di Fabio Palombi, situato a Genova. Siamo andati tutti lì ma ovviamente abbiamo registrato in giorni diversi. Vorrei fare un plauso particolare proprio al lavoro di Fabio, perché ha saputo tirare fuori il meglio dalle nostre performance, dando un taglio molto naturale a tutta la registrazione e gestendo un mix molto impegnativo di circa 150 tracce per canzone. Volevamo andare un po’ controcorrente, creando un prodotto con più dinamica degli standard attuali, ma cercando di non perdere troppo in termini di potenza e per farlo c’era bisogno di qualcuno che sapesse molto bene il fatto suo. Penso che Fabio ci sia riuscito in peno.
MH: A proposito di live… noto con dispiacere (ma in realtà son contento per voi) che all’estero siete piuttosto richiesti e che per contro in Italia non è così facile vedervi… Mi sono solo trovato in mezzo ad una errata congiunzione astrale e ho solo io fatto fatica a trovarvi in giro, oppure il pubblico italiano non vi considera come quello estero?
ML: Nessuna congiunzione astrale…ma semplice realtà dei fatti. Attualmente Messico, Giappone e stati dell’ex blocco Sovietico, sono le zone nelle quali troviamo i riscontri migliori. Stati nei quali i Lunacy portano da anni la loro musica e questo viene ricambiato, sia dall’affetto dei fans e (per dirla tutta) anche da situazioni professionali davvero importanti. Il nostro obbiettivo ovviamente è quello di sviluppare ulteriormente i nostri confini e su questo siamo costantemente al lavoro, ben consapevoli del fatto che se abbiamo fatto breccia in alcuni stati, abbiamo le carte in regola per andare oltre. Riguardo all’Italia, purtroppo vige la regola che “nessuno è profeta in patria”. Dico questo con grande dispiacere perché amiamo il nostro paese e con grande orgoglio lo portiamo ovunque andiamo nel mondo. Mi spiace anche perché so benissimo che tanti ragazzi qui in Italia ci seguono con tanta passione e vorremmo fare di più. Tuttavia, è con la realtà che bisogna fare i conti e questo al momento ci costringe a fare determinate scelte.
MH: Sempre restando in argomento, come è nato il “Live in Mexico City”? Era in programma di realizzarlo già da quando avevate saputo di suonare in Messico?
ML: Si, è stato un progetto programmato per tempo. Come dicevo prima “nessuno è profeta in patria”. Il fortissimo legame con il Messico è iniziato nel lontano 2003 e da allora non è mai venuto meno. Questo è accaduto perché in quel paese la nostra musica ha fatto breccia più che da altre parti. Non so dirti il perché di questo. So solo che lì siamo seguiti e sostenuti in maniera davvero importante. Per realizzare un DVD degno di nota, avevamo quindi bisogno non solo della qualità delle riprese ma anche di un contorno importante di pubblico a testimoniare l’affetto che i Lunacy hanno in determinate circostanze. Per questo è stato scelto il Messico ed il fatto stesso che in quella occasione abbiamo suonato davanti a tremila persone ci conferma che la scelta è stata quanto mai azzeccata.
MH: La copertina dell’ultimo lavoro è bellissima! Ti va di dirmi qualcosa di più sulla sua storia e la sua realizzazione?
ML: Il merito è tutto del nostro grafico Gaspare Frazzitta. Collaboriamo con lui dal 2010, da quando uscì “Weaver Of Forgotten”. Non siamo davanti solo ad un grande artista, ma anche ad un elemento complementare alla band. Infatti, per realizzare sia una copertina che gli interni del booklet Gaspare ascolta prima le canzoni del disco, la metabolizza mentalmente e successivamente procede nella messa in opera. La copertina di un disco dei Dark Lunacy è quindi la rappresentazione visiva delle canzoni in esso contenuto. Professionisti di questo calibro sono ancora capaci di darti il piacere di stringere un disco tra le mani. Qualità che nell’era del digitale non è facile da valorizzare. Per “The Rain After The Snow” è stato quindi usato lo stesso metodo di sempre. Abbiamo individuato un percorso in grado di unire un passato carico di elementi evocativi con lo stato attuale del nostro essere Lunacy oggi.
MH: D’accordo. Grazie mille per la disponibilità offertaci nel chiacchierare con te! Lascio a te l’ultima battuta per un saluto ai nostri lettori.
ML: Oltre a rinnovarti il mio più caro ringraziamento a nome mio e dei ragazzi, mando a te, alla redazione di Metal Head e tutti i ragazzi che stanno leggendo, un grande abbraccio. E’ stata un intervista appassionata. Se devo sceglier una dedica in particolare in chiusura, posso semplicemente dire questo: chi ascolta e chi ascolterà Dark Lunacy, lo faccia con il cuore…le musica farà il resto.
(Enrico “Burzum” Pauletto)