Sound devastante e nichilista, germogliato da un sostrato black metal per espandersi poi verso il post, il noise, avant garde e ogni altra forma musicale ombrosa. La musica dei Dispersion è un qualcosa di diverso dalla media. Il trio di Treviso parla attraverso Dejan Pejcic (in foto sotto), chitarra.
“Pillars” (recensito da un collega, ndr) è stata la vostra prima incisione. Come lo descriveresti oggi, due anni dopo e con un intero album realizzato?
“Pillars” rappresenta ancora un lavoro importante per noi. È stato una base di partenza per l’album, ed è tuttora un punto di riferimento per capire la direzione in cui stiamo andando con le nuove canzoni. Lo ritengo un lavoro valido anche oggi, tanto che ne proponiamo le canzoni dal vivo anche adesso.
Il concept alla base di “Syntropy” di cosa tratta? Soprattutto come e perché lo avete scelto per creare i testi e presumibilmente la musica?
Il concept alla base tratta il rapporto uomo-natura. Lo abbiamo scelto perché è un argomento che ci interessa particolarmente e che dovrebbe preoccupare tutti, anche se non è quasi mai così. Abbiamo tentato di descrivere alcune tappe fondamentali della storia dell’uomo sulla Terra e quello che questi avvenimenti hanno significato per la natura, l’ambiente e per l’uomo stesso. Tutto quanto dal nostro personale punto di vista naturalmente.
La copertina di “Syntropy” è semplice, essenziale, ma suggestiva.
Sì, abbiamo cercato di esprimere le stesse sensazioni della musica anche nella parte grafica. La copertina in particolare rappresenta quello che è l’epilogo del disco in un certo senso. All’interno del booklet, invece, ogni canzone è collegata ad un’immagine particolare che la rappresenta e completa l’esperienza complessiva dell’album.
“Tides of Ages”, oltre 14′ e mezzo di musica. Oltre, molto oltre… Contiene tutto quanto siete stato in grado di realizzare con “Syntropy” oppure sono altre le canzoni che vi descrivono meglio?
Credo che ogni canzone di “Syntropy” abbia una sfumatura diversa dalle altre e sia rappresentativa a modo suo. “Tides of Ages” è sicuramente la canzone più lunga ed è naturale che contenga diversi momenti. Sebbene non sia la prima traccia lunga che facciamo, basta vedere “Earth Shrine” oppure “Being the Ruin”, “Deep Cave” di “Pillars”. È stata una sfida anche per noi. Abbiamo cercato di costruire una trama sensata, ma che non annoiasse vista la lunghezza. Se devo scegliere le canzoni più rappresentative dell’album oltre a “Tides of Ages” citerei anche “Throne of Balance”, che ha uno stile più minimale ma allo stesso tempo molto atmosferico.
Trovo che il black metal sia alla base del vostro sound eppure non siete una band black. In voi c’è anche altro, vero?
Hai perfettamente ragione. Abbiamo gusti musicali molto vari e deriviamo da una formazione diversa tra di noi. Io e Mattia (Sottana, bassista e voce, ndr) arriviamo da un ambiente più propriamente black metal, mentre Nicola (Fregona, batterista, ndr) da quello hardcore sostanzialmente. Oltre a questo i nostri ascolti spaziano dal rock classico, al metal estremo, all’elettronica e così via. Questo poi credo si percepisca anche in fase di scrittura. Ogni canzone ha un senso proprio, per agganciarmi anche alla domanda precedente, perché ognuno di noi porta qualcosa dell’esperienza personale e unire stili diversi diventa stimolante e permette di creare anche qualcosa di nuovo…forse!
Siete un trio. Resterete tale?
Sì, non siamo in cerca di altri componenti.
Complimenti ancora, il vostro lavoro è davvero interessante. A te il saluto ai lettori e di’ loro quello che vuoi. Grazie!
Grazie per il complimenti e per lo spazio concessoci. Ai lettori di Metalhead dico grazie a chi già ci supporta e invito chi non ci conosce a dare un ascolto alle canzoni, che tanto sono disponibili gratuitamente in rete (QUI, ndr) quindi non costa nulla! Grazie a voi!
(Alberto Vitale)