Tecnici, capaci, scultori di riff granitici e melodie perverse. Onorano il percorso aperto da Chuck Schuldiner, lo evolvono, e creano un album superlativo. Sono Italiani, Milanesi, e come molti altri acts della penisola soffrono la patetica mancanza di opportunità (che non colpisce solo il mondo del rock). Ma sono sinceri, in gamba, sanno cosa vogliono, ma non pretendono cose assurde. Vogliono guadagnarsi lo spazio che meritano con la loro musica, con il sudore, con la fatica. Un’esempio di etica, un esempio di classe ed anche una brutale manifestazione di superiorità tecnica. Rex, voce e chitarra, risponde in maniera esaustiva alle nostre domande, ed assieme a Metalhead descrive verità, meccanismi e sogni di una band Italiana che non fa certo musica leggera per palchi pieni di fiori finti…
Ciao Rex! Grazie per questa intervista. Dopo aver sentito con piacere il vostro album, è un piacere proporti le nostre domande!
Ciao e grazie per lo spazio che ci concedete sulle vostre pagine.
Vi siete formati nel ’97. Avete fatto due demo, ed il full length è arrivato solo nel 2012. Come mai tutto questo tempo? E’ stata tutta gavetta o avete anche preso delle pause per dedicarvi ad altro?
Non me ne volere ma ti devo correggere, in realtà i demo sono tre se aggiungiamo il primo e grezzissimo “Urna” partorito nel 2000. Purtroppo, come per molte altre band, trovare una line-up stabile è difficile, soprattutto quando ti metti in testa di suonare quello che suoniamo (non voglio parlare di generi). Abbiamo cambiato una marea di musicisti per vari motivi e ci sono stati periodi, anche belli lunghi, dove la band era formata da me e dal vecchio batterista Mattia Sciutti. La cosa ci ha demoralizzato in alcuni momenti, ma non ci siamo mai dati per vinti; la convinzione e la determinazione sono fondamentali per portare avanti un progetto. Comunque, i nostri live li abbiamo fatti, i demo li abbiamo registrati e la band è sopravvissuta. Poi ci sono stati quasi 2 anni di stop intorno al 2010, quando andai a cantare con i Node per l’ultimo disco. Oggi siamo più determinati che mai a portare avanti questo progetto.
Nella vostra musica trovo molto marcata l’influenza dei Death, specialmente attorno all’epoca di “Symbolic”. Volete un po’ spiegarmi le vostre influenze, le vostre ispirazioni ed il legame con quel tipo di musica?
Non so se avete presente il film “Blues Brothers”, quando Jack vede la luce. Ecco, per me ascoltare i Death la prima volta ha avuto lo stesso effetto, tra l’altro fu mentre mi facevo il primo e unico tatuaggio che porto addosso, penso basti questo a descrivere il mio legame con i Death. Abbiamo tutti una forte passione per il Thrash Americano e il Death Metal di vari tipi, partendo dai Death, passando dai Carcass agli At the gates, Atheist, Cynic ecc… fino ad arrivare agli Opeth. Ognuno di noi ha mille altre influenze musicali, che spaziano dal jazz, alla classica, passando per l’elettronica, il progressive anni ’70, i gruppi rock come i Sabbath e gli Zeppelin, il blues. La musica, quella suonata con il cuore, è tutta meravigliosa.
Ho scritto che musicalmente prendete proprio il percorso abbandonato da Chuck Schuldiner che abbandonò il progetto Death a favore della sua evoluzione denominata Control Denied. Ci sono molti altri gruppi che si cimentano in death tecnico, ma voi siete tra i pochi che lo mantengono anche molto melodico senza cadere negli standard svedesi. Come pensate possa proseguire la vostra carriera artistica? Pensate di stare su questo genere, il quale richiede forte personalità per non risultare già sentito, o avete in programma uno stravolgimento della direzione sonora?
Invero non te lo so dire, non ci prefiggiamo di suonare un genere in particolare, anzi non mi piace proprio il concetto di essere inquadrato in una categoria, anche perché c’è il rischio di non essere capiti. Molti non ci considerano neanche un gruppo death metal per dire, i pezzi in alcune parti lo sono, in altre no, quindi cosa suoniamo? Ti dico che noi suoniamo quello che ci esce dal cuore quindi alla tua domanda posso rispondere solo dicendoti che, visto come sta andando il mondo al giorno d’oggi, i pezzi nuovi non solo saranno più arrabbiati in alcune parti, ma anche più tristi e malinconici in altre. In ogni caso la linea guida sarà quella di “The Syndrome of Decline”, con sperimentazioni e contaminazioni da vari altri generi musicali, chissà, magari anche dal Raggae (ride, ndr). In ogni caso sarà fottutamente IRA al 100%.
Musicalmente dimostrate uno skill non indifferente. Potete raccontarmi il vostro background artistico che vi ha portato a queste capacità, tali da poter creare un gran bel disco come l’ultimo? Ve lo chiedo in quanto gli Ira non sono poi stati molto attivi in tutti questi anni… e non sembra che voi nel frattempo abbiate smesso di suonare…. non si suona così senza pratica e dedizione.
Gli Ira oggi sono quattro persone che hanno ognuna il suo bagaglio di esperienze che si sono formate in anni di dedizione alla musica, prima e dopo essere entrati negli Ira . Possiamo stare qui a cercare di definire il percorso musicale di ognuno, ma preferisco parlare di quello che abbiamo fatto insieme. Certo ci vuole molta pratica per arrivare a un livello tecnico sufficiente per suonare i nostri pezzi, ma non è così elevato in fondo. Più che altro parlerei del gusto musicale; abbiamo cercato di tirar fuori dei pezzi che trasmettessero qualcosa all’ascoltatore. Personalmente non mi piace la musica sterile e fine a se stessa tipo “facciamo death metal quindi la batteria fa ‘tu-pa tu-pa’ e basta”, chi vuole sentire quello è meglio che non ci ascolti neanche. Non siamo stati molto attivi negli ultimi anni per vari motivi ma non ci siamo mai fermati in realtà, abbiamo sempre continuato a provare in saletta, a esercitarci a casa, a scrivere musica e a dedicarci alla band. Le cose per essere fatte bene devono essere mature e con la gente giusta, se ci sono voluti quindici anni per tirare fuori un disco è perché la band non era pronta a farlo prima.
Vedo che siete ancora alla ricerca di una label. Come procede? Cosa pensate del business musicale, dal vostro punto di vista di band sostanzialmente underground?
Sinceramente dovresti chiederlo ai ragazzi di K2 Music Agency che ringraziamo tantissimo per il lavoro di management che svolgono per noi. Attualmente ci stiamo concentrando sul nuovo materiale, ora come ora “The Syndrome of Decline” è già un prodotto “vecchio” discograficamente parlando. Speriamo che il secondo esca direttamente sotto qualche Label quanto meno decente, per riuscire a fare un altro passo in avanti nella crescita della band. Penso che siamo veramente in un periodo di baratro, c’è troppo e di tutto in giro e quando c’è troppo è difficile far emergere quello che c’è di buono. Per noi al momento non c’è business, ci sono solo spese per portare avanti la band e per cercare di farla crescere, quello che riusciamo a vendere ricopre solo in minima parte l’investimento iniziale. Poi ti dirò che anche a livelli superiori non devono essere messi molto meglio anzi, hanno pure molti più vincoli e imposizioni.
Sempre in tema di underground: per fare un album bello non serve solo saper suonare, ma servono pure dei soldi da investire. Come è nato nel suo complesso il prodotto “The Syndrome of Decline”?
Secondo me prima di tutto servono le idee e le emozioni, se non ci sono quelle puoi anche avere 100.000 € di budget e le capacità tecniche di Paganini ma non farai mai nulla di buono. “La Sindrome” è stato totalmente auto-prodotto da noi, sfruttando le nostre competenze di fonici; mie, di mio fratello Alex (batteria) e di Christian (chitarra solista). Ci siamo auto-registrati le chitarre e il basso. La batteria, suonata dall’immenso Marco Di Salvia, l’abbiamo registrata al Rec Lab di Buccinasco (Milano) mentre voci, mix, parti addizionali e re-amping sono state fatte ai Syncropain Studio di Pisa dal nostro fidato amico Marco Ribecai. Il pacchetto finito poi, è volato in Svezia nelle mani del guru del Mastering Goran Finnberg (Opeth, Dark Tranquillity, Meshuggah, Arch Enemy ecc…) agli studi “The Mastering Room” che ha finito il lavoro. Per quanto riguarda l’artwork e la grafica, non ringrazierò mai abbastanza Mauro Mazzara per il disegno del “pupo” meccanico e Marzia Teramo per tutta la parte riguardante il graphic design, la fotografia ecc.. Comunque è stato tutto deciso da noi in ogni dettaglio, cercando di risparmiare il più possibile. Direi che ce la siamo cavata alla grande con un investimento ragionevole per le nostre tasche.
Parlavo con un collega che sta promuovendo una band thrash italiana. Ne è emerso che se vuoi un minimo di visibilità, feedback … senza nemmeno pensare ad un vero successo, l’Italia non è certamente il posto adatto. Voi cosa ne pensate anche in base alla vostra esperienza?
Che ha totalmente ragione. Non so spiegarti come siamo arrivati a questa situazione di merda ma ora come ora l’Italia, mi dispiace dirlo, non è un paese adatto per la musica e in particolare per il Metal Underground. Ho parlato anche con gente del mestiere e all’estero veniamo considerati alla stregua di un paese del terzo mondo. Voglio rifarmi a quando dicevi sul fatto che non siamo stati molto attivi in pubblico, non lo siamo stati non per volere nostro, ma perché molto spesso abbiamo rifiutato di suonare in situazioni assurde e di essere trattati da merde e poi…. anche per sfortuna e pessimo tempismo. Purtroppo, senza fare nomi, ma me ne vengono in mente parecchi, nel giro Underground ci sono persone, promoters, locali, ecc.. che si approfittano delle band, costringendole a suonare gratis o in situazioni allucinanti; questo è solo uno dei motivi principali per cui le cose in Italia non funzionano bene. Sull’argomento ci sarebbe da scrivere un libro.
Relativamente all’album, mi potete dire come è nato dal punto di vista artistico, come componente i pezzi e come si evolve il tutto?
Parlando di questo disco, la maggior parte dei brani e testi sono stati scritti da me e in un secondo tempo arrangiati e rivisti con gli altri. Molte delle canzoni presenti , esistevano già prima dell’ingresso degli attuali componenti del gruppo che comunque hanno dato un contributo importante sulla resa finale dei pezzi. A livello compositivo normalmente partiamo da una linea di chitarra, su cui si va ad appoggiare poi, pezzo per pezzo, il resto degli strumenti. Una volta raggiunta una struttura definita del brano cerchiamo di capire dove si può migliorare, snellire o armonizzare le parti per rendere il tutto più accattivante e personale. La cosa fondamentale rimane il lato emozionale dei brani, se una canzone non ci dice nulla emotivamente, non ci tocca nel profondo quando la suoniamo o la risentiamo, non la prendiamo neanche in considerazione.
E per quanto riguarda i testi? Quali sono le tematiche che vi piace mettere in musica?
I testi fin ora, eccezion fatta per “Emotionless” che è stato scritto da mia sorella, sono farina del mio sacco. Principalmente nascono da riflessioni che faccio sulla realtà che viviamo e le sue problematiche che sono, a mio avviso: la mancanza di morale, l’arroganza, il disagio sociale, il controllo sulle masse da parte dei governi e delle varie lobbies che governano chi governa. Cerco di esprimere in musica tutto quello che mi tocca di più e che ritengo abbia uno spessore, anche culturale se vogliamo. Altri testi invece sono più personali e introspettivi, vedi “Searching myself”, dove affronto da vicino le problematiche più legate alla psiche umana che in determinati ambienti insani può essere storpiata e finire per creare delle difese che ci aiutano a non soffrire, ma che ci allontanano dalla realtà. Anche “Un-Existence” è sulla stessa tematica, anche se lì mi sono lasciato ispirare da situazioni ben più gravi, come la strage alla Columbine High School e da altri atti di follia da parte di persone profondamente malate e abbandonate a sé stesse.
Credo che una band non sia una vera band se non va in tour. Se non fa dei concerti. Mi potete riassumere i vostri progetti per le esibizioni live? Italia o estero?
La prima volta che sono salito su un palco da ragazzo ho capito che non avrei potuto più farne a meno, per tutta quella serie di emozioni e sensazioni che si provano. Il contatto con il pubblico è la cosa che ci dà più carica in assoluto. Non siamo uno studio project, gli Ira nascono in primis come band da live, ed è proprio lì che secondo me sta il nostro punto di forza. Comunque non sono d’accordo sul fatto che se non vai in tour non sei una band, noi non ne abbiamo ancora fatti ma non ci considero inferiori, o superiori! Semplicemente non ci è ancora capitato di poter partire per più di due giorni ma non escludo che potrebbe succedere. Ultimamente abbiamo avuto la fortuna di aprire per gli Arch Enemy con un’ottima risposta da parte del pubblico presente e della critica, più altri live minori in giro per l’Italia. In programma ci sono alcuni live in Italia per il momento ma speriamo e stiamo lavorando per riuscire a varcare i confini Nazionali presto. Il prossimo impegno ci vedrà headliner al Noisy Hour Fest a Lecco e per nostra fortuna molte band in giro per il bel paese ci stanno contattando per scambi date. Per ora non posso sbilanciarmi perché sono ancora date da definire ma ci sono molte possibilità. Ultimamente per fortuna riusciamo a suonare almeno un live al mese, cosa fondamentale per mantenere alta la tensione nel gruppo, se no si rischia di annoiarsi.
Esiste il pay to play, dove bands come voi pagano per comprarsi uno slot in un tour con una band più famosa. Voi predereste in considerazione una cosa del genere?
Già, esiste questa possibilità, ma c’è da fare una differenziazione. Ci sono situazioni dove chiedono cifre folli per suonare in date singole e a metà bill per giunta; queste cose non ci interessano minimamente, sono gestite da sfruttatori a causa di cui è andato tutto a puttane. Su questo argomento c’è molto da discutere e molti non sanno che non è una cosa dei giorni nostri, è sempre esistita. Invece, Il carrozzone di un Tour è una macchina costosa: autisti, tecnici, mezzi per spostare il tutto, la benzina, i pasti e eventuali alberghi ecc… Sono tutte spese vive e da qualche parte per finanziare il tutto i soldi devono saltar fuori. La piccola differenza tra oggi e 20/30 anni fa è che ci sono una miriade di gruppi in più e non tutti hanno un’etichetta e anche quelli che ce l’hanno sono costretti a prendersi in carico buona parte delle spese della band, questo perché spesso le etichette non hanno più soldi da investire. Un tempo invece, quando si vendevano i dischi, erano le etichette a pagare gli slot per i Tour delle proprie bands. Fare un Tour era ed è un investimento in termine di immagine, prima aveva un senso anche per vendere dischi. La risposta vien da sé, se vuoi fare un Tour oggi o te lo paghi oppure stai a casa. La favola che le band non pagano per suonare non esiste, i soldi magari non escono di tasca loro ma comunque escono. Se non sei un nome come minimo decente cosa puoi pretendere?
Con chi vi piacerebbe andare in tour?
Con chiunque, non abbiamo preferenze, chiaramente sarebbe meglio per noi andare in Tour con band a noi simili per evitare di fare i pesci fuor d’acqua. In una serata Black Metal non mi ci vedo proprio.
Ed in Italia? Con quali bands italiane vorreste fare alcune date? Vorrei anche sapere se avete già una base di fans fedeli, o se siete ancora in fase di promozione pura, esattamente come una nuova band.
Come dicevo prima con chiunque, ma potendo scegliere penserei ai Sadist, gli Infernal Poetry, gli Illogicist, gli Extrema. Rispetto a questi ultimi siamo un po’ diversi come genere ma con GL ci siamo sempre fatti delle belle risate e sappiamo che gli Extrema sono delle belle persone. Ce ne sarebbero davvero molti altri ma la lista diventerebbe troppo lunga. Per il discorso fan, direi che non siamo proprio alle prime armi ma la strada è ancora lunga. Essendo solo al primo disco è presto per capirlo, diciamo che abbiamo amici in tutta Italia e non solo che ci seguono costantemente.
Io vi ho dato un bel voto, e devo dire che il disco mi è piaciuto molto. Com’è stato il feedback dal resto della stampa italiana e straniera? Il vostro disco è stato ben accolto dalla critica?
In generale sì, sta piacendo parecchio! Ci sono alcune critiche e molti apprezzamenti. Ho letto delle recensioni, come la tua, che mi hanno lasciato a bocca aperta. Posso dire che per alcune persone abbiamo tirato fuori un masterpiece.
Ok Rex. Ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato. Vorrei augurare a te ed alla tua band il meglio perché penso lo meritiate davvero. Nel frattempo chiudi tu l’intervista come preferisci, ma non dimenticare di salutare i lettori di Metalhead.it
Ringrazio tantissimo te e i lettori di Metalhead.it. Vorrei ricordare a tutti che il modo migliore di supportare band come noi è andare ai concerti, i gruppi di supporto online sono utili ma la differenza la si fa sul campo. E poi… diciamolo: è meglio passare una serata insieme con birre e musica che a chattare con il pc, secondo me! Quindi muovete i vostri culi metallici per mantenere viva la fede nel metallo!
(Luca Zakk)