Come un direttore d’orchestra dannato, Steve Sylvester ha condotto la sua band, la sua creatura, attraverso oltre quattro decenni di sinfonie ed immagini oscure, perverse, proibite, maledette. Con il libro “Il Negromante del Rock” (qui) Steve rivelò molte cose, mentre con l’ultimo “La Storia dei Death SS” (qui) ci ha accompagnato attraverso un viaggio assurdo ed affascinante, quasi surreale ma estremamente chiaro e lucido. Una biografia della band. Un’autobiografia. Uno scorcio della scena metal e rock del nostro paese, una introspettiva sui retroscena del rock’n’roll, il quale non deve per forza provenire dall’estero per avere fascino o celare misteri che alimentano le leggende. Nelle oltre 500 pagine, senza contare il primo volume, sono nascosti una infinità di fatti e punti di vista, i quali generano milioni di domande: le mie, dei lettori, quelle di ogni fan. Di ogni lettore. Forse, considerando il personaggio, queste domande non troveranno mai la vera pace eterna di una risposta… ma vale la pena indagare, perché se avete letto i due libri, forse la mia trasferta a Firenze può aiutarvi ad approfondire, a svelare qualcosa in più di quel che riportano i testi. Oltre a qualche sorpresa… Verso il decimo sigillo, il decimo girone… questo è Steve Sylvester, per voi…
MH: Il libro ha un tono prosaico. Descrittivo. Sembra quasi tu stia raccontando in forma analitica la storia di un altro artista o di un’altra band.
SS: Io ho cercato lo stesso stile che ho usato nel ‘Negromante’. Ho buttato giù ricordi senza pensare troppo in che stile li stessi buttando giù, secondo come mi venivano in testa questi ricordi, in quanto non è facile ricordare e focalizzare tutti i 43 anni di storia. Per cui non ho dato molto peso alla direzione stilistica, se non quella concordata con Gianni della Cioppa il quale si è occupato di questa parte più tecnica, ovvero continuare lo stile del ‘Negromante’.
MH: Anche il linguaggio è pacato, mai volgare… tranne le parentesi dove esprima rabbia con conseguente linguaggio più aggressivo o volgare. Come hai inserito queste esplosioni di sentimenti in un racconto così descrittivo? Certe cose che ti hanno dato fastidio nel testo diventano arrabbiature e si percepisce con enfasi, a differenza del resto che rimane molto narrativo.
SS: L’ho scritto secondo lo stile del mio carattere. Io sono una persona naturalmente abbastanza pacata, però chiaramente se c’è qualcosa che mi fa incazzare lo dico senza peli sulla lingua. Non uso mai un modo di esprimermi volgare o particolarmente forte (nonostante la roccaforte fiorentina, Steve NON è toscano…, ndr). Mi esprimo pacato in quanto è il mio modo di essere. Non mi incendio facilmente. Poi con il mio training autogeno e yoga che faccio… cerco sempre di rimanere distaccato… se posso. Ma quando ci vuole ci vuole. Qualche momento di esplosione può succedere.
MH: Tuttavia hai lasciato agli invitati nel testo del libro (collaboratori, membri della band, performer…) la libertà di esprimersi rivelando in maniera esplicita i retroscena, specialmente Dhalila… Diciamo che li hai lasciati andare!
SS: Si. Questa è stata la politica. Ognuno doveva dire assolutamente la verità a modo suo, con le sue parole, senza alcun tipo di censura. Addirittura ti dirò che alcune cose che poi ha dichiarato ad esempio Dhalila tra quelle più piccanti, io neanche le sapevo prima di mettermi a scrivere il libro. Perché, devi sapere, io di solito ai concerti lascio molto spazio agli altri, me ne sto per i cazzi miei ed in genere finito di suonare vado in albergo a farmi un doccia e dormire. Poi cosa fanno gli altri nel frattempo, sono affari loro e a me non interessa. Per cui alcune cose, fatti e retroscena non li conoscevo nemmeno io… sono venuto a saperli durante la stesura del libro!
MH: E questo ci porta al prossimo punto: retroscena che sembrano non appartenerti… quasi tu avessi condotto i Death SS lungo un percorso devastante, senza però lasciarti mai andare… nonostante la band sia comunque estrema, o per la musica o per l’immagine.
SS: Come ti dicevo prima fa parte del mio carattere. I Death SS riflettono la mia persona. La mia persona ha un certo tipo di carattere, l’ho sempre avuto, sono sempre stato pacato; mi conosci anche tu e l’avrai visto, non mi lascio andare facilmente alle varie situazioni. Ho avuto anche io le mie intemperanze giovanili, che ho raccontato ai tempi del ‘Negromante del Rock’, però mi sembra -da un certo punto di vista- di aver già dato, pertanto non sono proprio interessato ad eccedere o a fare la rock star eccessiva per forza. Non è nel mio carattere: io mi sento più professionista, quindi faccio il mio lavoro poi me ne vado a riposare.
MH: Tuttavia sei in una rock band. Ho letto tante biografie rock. Di solito il personaggio, o la band stessa, tende ad una sorta di auto proclamazione, auto esaltazione per fa vedere, tra virgolette, quanto uno è figo o lo è stato. Mentre tu tieni un profilo basso e discreto. Ma se osservo la tua carriera, evinco un contrasto con il profilo basso: hai fatto di tutto per metterti in mostra e mostrare i Death SS. Tra l’altro, e cito Oleg Smirnoff dal libro (pagina 341, ndr), vieni descritto come uno che sta al centro della scena. Non so come si combina tutto questo con una band che è in giro da decenni.
SS: Io un pochino divido le cose. Quello che sono quando sono sul palco è una cosa, una rappresentazione teatrale, quindi come un attore professionista faccio ed esprimo quel che devo fare e devo esprimere. Nella mia vita privata, una volta esaurito il mio compito, non è che debba per forza dimostrare qualcosa a qualcuno. O far vedere quanto sono ganzo magari ubriacandomi o drogandomi o scopandomi anche le serrature. Quello che ho dovuto fare in termini di eccessi, penso di averlo già fatto… e lì ti rimando alle varie orge nei cimiteri, c’è di tutto e di più… ma al tempo avevo 17 anni. Quindi sono arrivato ad un punto nel quale sento di non dover più dimostrare niente più di quel che non ho già dimostrato, svolgo con piacere e spero competenza il mio compito, ma una volta esaurito quello… lascio agli altri le intemperanze; io preferisco decisamente rilassarmi o fare altre cose. Non è nel mio carattere fare lo sbattone.
MH: Ci torneremo dopo su questo. Ma ora affrontiamo un argomento che piacerà ai lettori e ai tuoi fans. Il male, Satana, l’occulto: ogni band di un certo livello ci ha girato attorno, scherzandoci o meno, volendo intenzionalmente esserne parte (vedi i Motley Crüe di un tempo, ad esempio, ma anche tante altre band metal). Tu il male lo hai sempre descritto, inscenato sul palco… ma è qui che trovo la differenza con gli altri che inscenano il personaggio cattivo anche fuori dal palco. Tu, infatti, ti sei sempre difeso dalle varie accuse che hanno afflitto la tua band, cercando quasi di evitare quella pubblicità che ti dipingerebbe come l’essere dannato che metti in scena. Alla fine te ne stai in un limbo tra i buono ed il cattivo… un limbo tutto tuo…
SS: Se ci pensi è così. Perché in realtà non esiste il bene ed il male, intesi come concetti totalitari e contraddistinti tra di loro. Sono le due facce della stessa medaglia. Il bene ed il male sono dentro di noi, sta a noi mostrare una parte o l’altra del proprio animo, del proprio lato oscuro o di quello che sei. C’è appunto questa dualità della parte teatrale rappresentativa espressa sia nelle liriche delle canzoni che nelle scene che portiamo sul palco… e quello che sono invece degli studi più approfonditi e più seri su una parte che è occulta e pertanto non necessariamente maligna e malvagia. E poi c’è quello che è la vita privata, la quale può essere tutt’altra cosa. Non è che uno dimostra di essere cattivo facendo delle gesta teatrali. Quella è rappresentazione. La cattiveria è un’altra cosa!
MH: Si, certo, ma perché non ‘inscenare il cattivo’ anche giù dal palco, magari solo in apparizioni pubbliche?
SS: Ma non dico neanche di essere buono o chissà che cosa… nel senso che sono una persona normale, come tutti noi. Soltanto che cerco di dosare quello che devo mostrare al momento giusto. Se c’è da mostrare un lato negativo, lo mostro, se questo lato negativo non serve a niente è inutile fare il cattivo fine a se stesso. Praticamente non voglio essere cattivo con una cattiveria fine a se stessa, stupida, puerile.
MH: Ma a livello di immagine e successo della band, guardando indietro… se facevi il cattivo pubblicamente… magari il devastato… forse questo ti avrebbe potuto dare di più, in termini di fama, successo, soldi?
SS: Può darsi. Anche io ho i miei scheletri nell’armadio. Cose di cui non sono fiero ripensandoci con il senno del poi. Cose che ho fatto da ragazzo che potevo benissimo evitare di fare… di cui magari ripensandoci adesso da maturo potrei anche sentirmi imbarazzato, però non le rinnego. Sono tutte servite ad un percorso che mi ha aiutato a crescere. Anche io ho di cazzate ne ho fatte tante, come tutti, però l’importante è rendersene conto e cercare di migliorarsi, ma non per sembrare il figo della situazione, quello bravo, ma per un arricchimento mio personale. Non ho nessun interesse a fare una cosa negativa fine a stessa. Perché farla? Non avrebbe senso.
MH: Si, era solo per l’immagine. Fare il cattivo anche se non lo sei
SS: Ma… non me ne frega niente. Non mi curo di questo.
MH: Tornando al passato, ma si collega all’argomento discusso: varie visite ai cimiteri, bare, immaginario horror, cose oscure, le cantine, fatti dissacranti, sangue. Per te… al di là della scena come mi hai appena detto, quanto è divertimento, quanto è scenografia e quanto è… verità o credo?
SS: È tutta verità. Nel senso che queste cose qui mi piacevano prima ma mi piacciono anche ora. Fa parte di un tipo di immaginario e dipende un po’ da come lo vivi. Sono sempre stato attratto da questo tipo di cose, per cui magari da ragazzino mi attraevano per un motivo, ora da adulto mi possono ancora continuare ad attrarre però per altri motivi. Ci vedevo un lato artistico in tutte queste cose. Pertanto ora le posso vedere come un arricchimento artistico o una fonte di ispirazione, magari un occhio diverso da quello che avevo quand’ero adolescente, ma sono sempre queste determinate cose che mi continuano ad affascinare. Sono sempre una fonte di ispirazione. Non è che sono cambiato radicalmente, sono solo cresciuto e le cose che mi piacevano allora mi piacciono anche adesso, cerco di fare meno cazzate e di interpretare tali cose in un altro modo. Quando cresci… le stesse cose che vedevi con l’occhio da adolescente le continui a vedere ma con un altro occhio.
MH: Passiamo ad un argomento diciamo sociale. Nei paraggi di pagina 402 parli di quella specie di pseudo inquisizione che avrebbe dovuto essere la tua presenza al programma “Controcorrente”. Ed è proprio in quelle pagine spieghi che cantare il male non vuol dire praticarlo. E mi sembra fai un paragone con i film: se a uno piace una tipologia di film, porno, horror, splatter, poi non vuol dire che poi esce in strada a fare le cose viste nel film. Ma una cosa è un film… il film lo vedo in pellicola, DVD, VHS… è una cosa fine a stessa, il film esiste nel mio salotto o nella sala cinematografica. La band invece crea il fan. Crea il fanatismo. Il fan tende all’imitazione dell’idolo, con l’abbigliamento, il linguaggio, con il look e con le cose che fa.
SS: Si ma questo è un inconveniente di tutto lo star system. Anche per quello cinematografico. C’è anche l’attore…
MH: Si, ma in giro vedo più gente vestita come Bruce Dickinson -per dire- che come Sean Connery, tanto per citarne due a casaccio…
SS: Certo, magari identifica una icona di un personaggio che ha interpretato e magari il fan distorce l’immaginario soffermandosi soltanto all’icona, alla rappresentazione, alla superficie. Per dire, se Linda Blair è stata famosa soltanto per essere stata l’indemoniata su L’Esorcista non è che poi i preti andavano a casa sua dicendole ‘oh, ma te sei una indemoniata!’. Invece da me vengono magari a rompermi i coglioni dicendo che faccio cose sataniche solo perché l’ho fatto sul palco. Per me il paragone comunque regge.
MH: Ma ti sei mai fatto la domanda secondo la quale il tuo fan potrebbe aver fatto delle cose ispirato dalla tua scenografia… che per te è solo scenografia, ma per lui è diventata una fonte di influenza per commettere delle cose stupide… cose che forse avrebbe fatto lo stesso, ovviamente…
SS: C’è stato anche il caso famoso delle bestie di satana…
MH: Si ma quelli non si erano certamente ispirati a te…
SS: Si, quelle erano persone già disturbate di loro. Però, l’importante è vedere quanto uno è intelligente. Perché di solito una persona intelligente riesce ad avere del buon senso, ed il buon senso ti spinge a capire cos’è rappresentazione, cos’è intrattenimento e che cos’è la realtà. Questo vale un po’ per tutte le cose nell’arte. Uno può anche vedere un quadro di Caravaggio violento e mettersi a sgozzare una persona perché è rappresentata lì. Dipende un pochino da dalle condizioni mentali di un individuo.
MH: Fans. Fanbase. Sei l’idolo di tanti. Da tempo. Come combini la tua dualità di uomo riservato, imprenditore e uomo di spettacolo… con l’innegabile appartenenza ad una cerchia di star di qualche tipo? In un posto come questo (il suo ristorante, ndr) può entrare qualcuno per mangiare senza sapere chi sei, senza averti mai visto, ma vengono anche tanti fans… e relativamente a quella cerchia tu non hai fatto nulla per evitarla, l’hai sempre costruita con un fare metodico e cinematografico. Come vivi quella dualità dell’essere per strada quando incontri uno che ti conosce, che vuole l’autografo, oppure uno che sa chi sei e ti disturba pensando che tu sia satanista. Ed in tutto questo come fai a fare l’imprenditore… come fai a scindere le due cose?
SS: Sono cose che capitano anche tutti i giorni. Può capitare che viene qui al ristorante un fans con dei dischi da farmi autografare. Un po’, lo devo ammettere, è una cosa che ancora mi imbarazza.
MH: Anche dopo quaranta e passa anni di carriera?
SS: Si, si, perché se potessi io terrei un pochino distinte le cose, di quando faccio un lavoro o ne faccio un altro, si tratta di due lavori diversi, ma la persona è chiaramente sempre la stessa, quindi cerco di far convivere le due cose. Un tempo forse mi disturbava di più, mantenevo più distacco… tanto che quando avevo la mia prima birreria, l’Angelo Azzurro della quale parlo anche nel libro, io non dicevo mai di essere Steve Sylvester… anzi dicevo che non sapevo chi fosse questo Steve Sylvester… e alla fine era un gioco. Ora lo sanno tutti cosa faccio, dove sono e dove mi possono trovare… non è che sono una rock star inaccessibile, introvabile, circondata dalle guardie del corpo. Per cui chi vuole sa dove trovarmi ed io sono una persona anche molto umile di mio, nel senso che se uno vuole l’autografo… certo che lo faccio. Chiaramente bisogna anche avere rispetto perché se nel frattempo sto lavorando o sto facendo un’altra cosa ed uno vede che non è il caso, non deve rompere i coglioni. Quello deve essere chiaro.
MH: Immagino sia successo…
SS: Raramente, in genere la gente riesce a capire quando è o non è il momento per fare certe cose.
MH: Dopotutto i fans hanno l’età della band, gente adulta… se tu avessi vent’anni con il ristorante sarebbe un casino…
SS: Me ne rendo conto. Però fa parte del gioco.
MH: Prima di farti questa domanda, mi sono anche andato a rileggere vari testi del repertorio della band. Erotismo: appare sul palco, ami i fumetti erotici di un certo tipo… ma non ti sei mai palesemente sbilanciato sulla sessualità, sul tuo life stile più o meno estremo -anni degli inizi a parte-, non ti sei mai esibito come ‘sciupa femmine’ cosa tipica da rock star. E nonostante i tuoi concerti portino in scena sesso o cose che hanno un livello di depravazione dissacrante, i tuoi testi sono molto più profondi… e come se tu cantassi una cosa portandone su palco un’altra. Non parli di sesso nei testi, se non in modo diciamo… elegante.
SS: Può essere… in verità ne parlo, ma in maniera più esoterica. Forse perché parlo di tantrismo, magia sessuale, ripresa anche dal tematiche crowleyane: e anche vero che poi noi in un paio di occasioni abbiamo inscenato delle vere e proprie orge sul palco, ad esempio quando abbiamo fatto la canzone “Black Mass” dal vivo, con gente completamente nuda, sia uomini che donne; tutt’ora lo facciamo, esibiamo nudo integrale, ci sono delle scene che ormai sono classiche come lo stupro della suora… ti confesso che da ragazzetto -le prime volte che si faceva- c’era quasi un vero rapporto sessuale sul palco… cosa che ora sarebbe chiaramente un po’ ridicola da fare. Però non abbiamo mai nascosto questa parte esplicitamente sessista, sessuale… ma sempre in maniera di sesso libero, legato alla magia sessuale o rituale.
MH: Cosa però lontana dalla sessualità artistica che consumi, tipo il fumetto.
SS: Quella dei fumetti è una cosa più volgare, più esplicita. Il riferimento al fumetto è più estetico, dai personaggi a… Poi ricorda che il fumetto all’inizio non era così, quando nacquero quei fumetti non erano pornografici… erano definiti semplicemente erotici, con un erotismo appena accennato, basato molto anche sulla storia, sul fascino del personaggio e sull’abilità del disegnatore di turno. Soltanto con gli anni ’80 hanno cominciato a diventare sempre più hard, più pornografici, più volgari finendo per impoverirsi; poi la la scena del fumetto erotico italiano è proprio morta. Io mi rifaccio di più, piuttosto, al fumetto erotico degli anni ’70, anziché quello degli anni ’80 e ’90.
MH: Immagine e Musica. Due cose strettamente legate. Cosa sarebbe dei Death SS con la musica ma senza l’immagine? E come sarebbe il contrario?
SS: Il contrario lo vedo difficile, perché se non c’è proprio la musica anche se hai l’immagine…
MH: Ma è pieno di musica scadente con tanta immagine… guarda le pop star…
SS: Sai, io ho sempre visto un tutt’uno inscindibile, non riesco a concepire una cosa senza avere l’altra. I Death SS in particolare sono un concept orrorifico, quindi per forza devi avere l’immagine adatta. E la musica giusta. Altrimenti mancherebbero proprio i presupposti, diventerebbe un’altra cosa. Ci sono dei progetti paralleli che ho fatto, o che sto continuando a fare, dove non c’è l’immagine e tutta la parafernalia che mi porto dietro, a volte anche molto ingombrante, dei Death SS. Per avere un po’ di sano rock’n’roll, per pensare alla musica, senza dover per forza sorbirsi anche tutta la parte estetica e coreografica, la quale è divertente ma anche molto faticosa da gestire. Guarda anche l’ultimo progetto dei Bunch of Bastards con i Cappanera ( band con Steve ed altri membri di Death SS e Strana Officina, ndr): lì è pura musica e basta, non c’è nessun orpello, nessuna scenografia. Ma i Death SS sono un’altra cosa. Quell’altra è una specie di boccata d’aria fresca, diversa, per poter cambiare. Io penso che i Death SS siano rimasti unici perché non sono mai venuti meno con questa impostazione. Guarda anche altri gruppi, tipo i Kiss o altri, noi invece siamo sempre stati coerenti in termini di musica ed immagine, sempre al 100% senza mai far calare né l’uno né l’altro aspetto.
MH: Se tu oggi dovessi tornare indietro, rifare una band, ma con tutta l’esperienza che hai accumulato… punteresti ancora sulla dualità immagine/musica o, come artista più maturo, faresti diversamente?
SS: È tutto figlio dei suoi tempi. Adesso come adesso se dovessi ricominciare non avrebbe senso. Perché è già stato fatto tutto ed il contrario di tutto, non c’è più niente che sia originale, non c’è più niente che sia veramente stimolante o veramente originale. Ma proprio niente! All’epoca quando ho cominciato non c’era nulla, per cui un’idea del genere ha funzionato ed è durata più di quaranta anni e sta durando ancora perché è nata in un periodo nel quale questa cosa non esisteva, a parte Alice Cooper che comunque musicalmente è tutt’altra cosa. Rifarei quello che ho fatto.
MH: Scrivi musica ma ti avvali di ottimi collaboratori. Ad esempio il JJ Masini, con il quale hai messo in piedi Opus Dei/W.O.G.U.E., tra l’altro tuo collaboratore anche negli ultimi album, da “The Seventh Seal” con “Heck of a Day” se non erro. Che approccio artistico hai con lui e con gli altri collaboratori che ti aiutano a dar vita ai brani?
SS: La faccenda nasce dal fatto che i Death SS come band sono costituiti da musicisti che vivono uno distante dall’altro, ognuno nella sua parte d’Italia… senza contare che poi si è cambiato spesso formazione. Io quando ho un’ispirazione artistica per una nuova canzone ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a concretizzarla. Io un po’ strimpello -male- chitarra e piano giusto per dare una intonazione o trovare le note, però sono un applicato melodista ed ho bisogno di un musicista che insieme a me butti giù un arrangiamento dell’idea che mi è venuta. E negli anni mi sono costruito il mio roster di personaggi che mi aiutano in tal senso. Uno fra tutti potrebbe essere Andy Panigada (dei Bulldozer, ndr) che ha collaborato con me nella composizione musicale di alcuni brani, e lo sta facendo ancora nel nuovo disco che uscirà. Un altro è JJ Masini. Poi come Elton John che aveva Bernie Taupin anche io ho i miei collaboratori, i miei musicisti che mi aiutano: so chi chiamare anche in base allo stile, per ogni canzone. Ad esempio mi dico ‘secondo me quel musicista può aiutarmi a fare l’arrangiamento giusto perché ha quel determinato mood o stile’. Se per esempio questo pezzo è più sul dark, sul gothic, chi chiamo? Ecco Masini è quello perfetto: lo chiamo, gli spiego che pezzo ho in testa e gli chiedo se mi aiuta a buttarlo giù. Ed è così che si fanno dei pezzi insieme tanto che in questo modo sono sempre riuscito a buttare giù le demo di tutti i dischi dei Death SS. Sono tutte mie canzoni che partono da mie idee e poi proseguono con l’ausilio dei personaggi che io chiamo a seconda delle determinate caratteristiche musicali. Poi dopo questa fase la band viene radunata da tutte le varie parti, i vari anfratti dove si nasconde e si mette ad arrangiare, ogni membro con il proprio stile musicale, tutte queste idee che a quel punto ho ormai già formulato. È una cosa che ha sempre funzionato, si è rivelata vincente, continuo a fare così, in quanto io non sono Mike Oldfield che sa suonare tutto e bene, altrimenti suonerei tutto da solo e via! Però non sono nemmeno così egocentrico, mi piace anzi che le mie idee vengano interpretate secondo il gusto e lo stile musicale del singolo musicista che lavora con me. Non sono quello che dice ‘No! Questo l’ho concepito così e devi farlo così altrimenti me lo faccio fare da un altro!’. Se il chitarrista ha uno stile che magari arrangia un po’ diversamente da quello che avevo in mente, ma poi mi piace, allora va benissimo. Nel senso che ognuno deve metterci del suo, dentro.
MH: Sei un mecenate!
SS: Forse, si, se ci sono dei talenti che sono riuscito a scoprire e a sfruttare nel senso buono, sia a favore mio che del singolo musicista stesso.
MH: Tu sei un artista ed un imprenditore. Già la cosa pare un abbinamento assurdo. Ma tu, quanto ti alzi la mattina, come ti definisci? Scenografo? Musicista? Scrittore? Imprenditore? Attore? Quale di tutti gli Steve è dominante su tutti gli altri?
SS: In realtà c’è uno Steve solo che cerca di fare un po’ di tutto al meglio di quel che può fare. Non mi pongo assolutamente questo genere di problemi o domande. Sono a lavorare tutti i giorni perché sono uno che ha sempre lavorato e se potessi lavorerei in tutti i campi che mi interessano. Non sono uno che sta fermo, quello è sicuro, però non mi pongo quel problema. In passato -e lo spiego anche nel libro- mi sono anche messo a cucire di persona gli abiti di scena per i ragazzi, mi sono messo a fare proprio la sartina… ma serviva, e chi lo faceva? Lo dovevo fare io. Serviva un affare di legno, ho quindi comprato il seghetto alternativo, ho smontato i mobili di casa, li ho segati per poi fare delle bare… in casa, in camera. Sono uno che ha sempre cercato di fare tutto da solo tutto quello che gli serve, in quanto non ho mai avuto a disposizione tantissimi mezzi da poter incaricare l’impresa per fare questo, il professionista per fare quest’altro. Poi, lo ammetto, mi piace fare le cose da solo, mi diverto. Quindi quando devo fare l’imprenditore faccio l’imprenditore, perché serve anche quello per vivere, poi quando devo fare il musicista faccio il musicista, quando devo fare lo scenografo lo faccio, eccetera. Come dicevo prima anche per la musica ed il teatro: sono tutte altre facce della stessa medaglia. Non mi pongo il problema ‘oggi sono scenografo, oggi sono quest’altro’. Faccio quello che va fatto.
MH: A proposito di attore, hai qualche progetto in futuro o desiderio in quella direzione?
SS: Mi piacerebbe anche, perché tutte le volte che ho fatto qualcosa in questo senso mi sono quasi sempre divertito, quando le produzioni erano decenti, specialmente quando ho lavorato per la RAI: è stato molto bello ed appagante. Poi dipende da chi. Se mi capita l’occasione che mi chiamino non mi tirerei indietro, però deve capitare la cosa giusta. In vista non c’è nulla di serio al momento, in quanto ci sono state anche esperienze negative in tal senso, cose che mi hanno fatto perdere tempo e che non si sono poi mai finalizzate in qualche cosa di concreto o serio. E non vorrei ripetere tale esperienza, non ho più il tempo o le energie, tanto meno la voglia di perdere tempo dietro queste cazzate. Se però capita una cosa tipo il Manetti come è stato con “L’ispettore Coliandro”… per me anche domani! Subito! È stato divertente, appagante dal punto di vista artistico, ben retribuito e professionale. Ecco, per gli ambienti professionali io sono sempre pronto.
MH: Spiritualità. Io credo nell’energia, anche in quella che non sappiamo dominare… ma dal mio punto di vista ogni credo in qualcosa di non palpabile… divinità, demoni, spiriti, presenze… sono tutte cose che mi divertono, mi affascinano, ma che rimangono a livello di pura fiction davanti ai miei occhi. Avendo parlato con te varie volte, ti sento vicino a questa mia linea di pensiero, ma è palese che nel tuo libro abbracci una infinità di percorsi eterei o spirituali che non hanno nulla a che vedere con le religioni, tuttavia ben lontani da una fisicità materiale… quella che non ci rende diversi da animali o piante, quella che non prevede una storicità spirituale da mantenere. In fin dei conti siamo tutti qui ma abbiamo una data di scadenza. Però sul libro emerge tutta quella complessa dimensione spirituale di Steve.
SS: La cosa non ha a che fare con dogmi o cose pre-costruite. Io cerco di spiegarlo bene anche nel libro, perché il mio cammino musicale avanza parallelamente sullo stesso binario e si è sempre avvicinato ad una crescita spirituale. Per spirituale intendo crescita interiore come persona. Si parte dalle cazzate giovanili…le cose tra parentesi sataniche, i rituali, fino a crescere, al porti delle domande e cercare di darti delle risposte. È un percorso, un cammino che non ha mai fine. Perché io non mi sono mai soffermato su un determinato tipo di associazione o filosofia (non la chiamo religione, la chiamo filosofia, vedi Chaos Magic e altre esperienze narrate nel testo). Mi sono sempre avvicinato a diverse scuole di pensiero e da ciascuna di quelle ho cercato di prendere le cose che secondo me andavano bene per me. Ma c’erano anche molte altre cose che non mi si adattavano. Io ho cercato, e credo si evinca dalla lettura del libro, specialmente verso la fine, di migliorarmi, di stare più in pace possibile. Quando raggiungi la pace con te stesso è il momento nel quale hai raggiunto l’obiettivo massimo. E questo l’ho fatto attingendo un po’ da tante cose, non semplicemente da ‘cose sataniche’. Quello fa parte semplicemente di un folklore, però c’è stato anche quello, non lo rinnego assolutamente e ci sono state molte altre cose che mi hanno portato ad una maturazione. Ad un certo punto poi parlo di una cosa che mi ha molto colpito negli ultimi anni, quelli che vengono chiamati gli stadi di ricezione. Il che non c’entra con le religioni che si legano ad un dogma prestabilito da qualcun altro con delle regole. Quello che dico io è una cosa che è solo tua. Ed ecco che ad un certo punto ti si è aperta una sensibilità che non sapevi di avere, ma che in realtà abbiamo tutti, la quale mi ha fatto vedere determinate cose in un altro modo. E non sempre poi questo è un bene. Riuscire a raggiungere uno stadio superiore di spiritualità non è per forza la cosa bella che ti conferisce super poteri o altro. Anzi, a volte ti dà anche una maggiore sofferenza: dal momento che riesci a cogliere delle cose che prima non coglievi, riesci di conseguenza a raccogliere anche tanta sofferenza. Quindi è una cosa che va gestita. Ti sei mai chiesto per esempio perché i monaci tibetani che raggiungono determinati livelli di auto disciplina e di meditazione, poi se ne vanno tutti in un eremo inaccessibile dove non puoi mai vedere nessuno? Non è che lo fanno per fare i fighi o perché sono egocentrici. Lo fanno perché alla fine ti rendi conto che assorbi da tutti gli esseri viventi, anche dagli animali e dalla natura, delle vibrazioni che devi essere capace di gestire. Nel corso della mia conoscenza, che poi nel libro non ne parlo perché altrimenti sarebbe un altro libro, c’è questa persona che non ha retto, che è morta, che si è suicidata per questo. Perché ad un certo punto avere una mente più espansa, avere dei chakra che non sono solo i classici chakra delle religioni indiane, ma sono molto più aperti, e trovarti esposto ad una botta forte di energia in questi termini, ti porta delle cose positive ma anche tante cose negative. Devi essere forte. Io ci ho messo anni ed anni per imparare e ancora non sono riuscito ad arrivare dove dovrei arrivare. Perché c’è tanta sofferenza. Io sono fondamentalmente una persona che soffre: perché agli inizi quando facevo le cazzate con i Death SS, non soffrivo e mi divertivo… ma non coglievo certe cose. Ora, invece, ho dentro di me anche una sensibilità maggiore che mi mette davanti ai pro ed ai contro delle cose. Una cosa che bisogna imparare a gestire. Per questo ne sono morti tanti di questi personaggi, mentre molti altri sono diventati asceti o eremiti non volendo più vedere nessuno. È un modo di reagire, una fuga dal dolore.
MH: Quello che hai appena detto si collega alla prossima domanda: Su “Another Life ”, da “The Seventh Seal”, in un verso dici che stai ancora aspettando i tuoi giorni di gloria, che troverai il modo, che non ti fermi, che continui anche se lo devi fare da solo. A quasi 15 anni da quel brano… la pensi ancora così?
SS: È decisamente autobiografico. Si, si assolutamente, la penso così. Penserò così anche prima di morire. È una continua crescita che non ha mai fine. Non raggiungi mai la totalità di quello che dovresti raggiungere, devi sempre comunque lottare per ottenere e tenere quello che hai. Quello che oggi hai e che ti sembra poco, in realtà domani potrebbe esserti tolto, quindi in realtà la lotta non finisce mai. Ma è anche una cosa positiva, in quanto ti aiuta a mantenerti vivo e a stimolarti sempre.
MH: Domanda per te e per quelli che hanno già letto il libro. Chi è L’Entità? Sei sicuro di non essere TE, dopotutto?
SS: Bella domanda. L’Entità c’è. Ne ho avute infinite prove. E non solo io. L’ho chiamata così perché… chi è? Il diavolo? Il tuo angelo custode? Chi è? Boh! È una forza ultra terrena, che probabilmente ho scatenato io stesso, che ho evocato, o creato, volontariamente o meno. Di fatto c’è e ne abbiamo avuto tante prove tangibili, io e molte altre persone che sono venute in contatto con me in tutti questi anni. L’ho voluta chiamare L’Entità… perché (ride, ndr), come la vuoi chiamare? Può essere positiva come negativa…
MH: Ma non è che è una forza, la quale questa viene da te? Ovvero che forse non l’hai evocata, l’hai semplicemente liberata, sprigionata…?
SS: Agli inizi, ne parlo nel Negromante, si sperimentava molto sui rituali e cose simili, era un po’ un gioco. Penso tutti abbiamo fatto cose del genere, qualche grimorio, cimitero… però abbiamo avuto anche delle manifestazioni assolutamente non spiegabili. Tipo quella volta che la sala prove è stata completamente avvolta in una fiamma verde la quale ha fuso tutti gli oggetti di metallo e però non ci ha scottato. Io considero ipoteticamente la data di inizio di manifestazione dell’Entità da quel giorno. Non so come abbiamo fatto (ride, ndr), l’abbiamo chiamato e questo è venuto fuori, come se dicesse ‘che cazzo volete? Mi volete? Ecco… tac!’.
MH: Se ti invitassero ad un convegno sulla spiritualità e l’esoterismo, come spiegheresti questa cosa ad una platea di gente comune…
SS: Non ho un bagaglio tecnico sufficiente per poter descrivere una certa cosa. È una cosa che è mia, personale, che nemmeno io stesso so spiegare bene, che non ha un termine di paragone o spiegazione, un termine tecnico. Crowley diceva che evocava Aiwass come entità derivata dall’antico Egitto. Io non è che gli posso dare un nome… lo chiamata Entità perché è la mia energia, sono sublimato in questa cosa che ho condensato… sempre legata comunque ai Death SS in quanto si manifesta soltanto in un contesto legato ai Death SS.
MH: E tu sei l’unica costante nei Death SS nel tempo…
SS: Si, però anche tutti quelli che vengono in contatto con me nell’ambito dei Death SS, poi in un modo o nell’altro finiscono per subire l’Entità. Se hai letto il capitolo di “Do What Thou Wilt”, lì è stato veramente incredibile. Quello che c’è scritto e che ha raccontato anche Felix Moon è tutto vero. Anzi c’è di più. Per cui, che devo dirti, è difficilmente spiegabile. Io stesso non la so spiegare.
MH: Mi piace tu abbia accennato a quel capitolo, perché in un libro ci possono essere cose da fiction, raccontate o esaltate per fini narrativi…
SS: Qui no, è il contrario. Ho smorzato i toni. Perché avevo paura di raccontare al 100% la verità di alcuni particolari… calcola che tutto quello che sta scritto è vero e comprovabile. Non solo non ho voluto esaltare in maniera letteraria, ho appunto smorzato i toni proprio per evitare il lettore pensasse fossero tutte balle. In realtà è tutto vero… ma anche di più (ride, ndr).
MH: Hai giocato, lavorato, riflesso, pensato e creato arte con la morte sempre in primo piano. È sempre dominante. Anche nel nome della band. L’hai adorata. L’hai derisa. L’hai inneggiata. Cosa lascerà Steve, un giorno, ai posteri? Cosa diranno, in un remoto futuro, del fu-Steve Sylvester?
SS: Anche questa è una bella domanda…. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto in maniera spontanea, non per cercare un particolare tipo di gratificazione, per cui ho fatto quello che mi sentivo di fare. Poi se ci sono riuscito o non ci sono riuscito, non sta a me dirlo. Infatti anche nel libro stesso do la mia versione di quello che potrebbe essere la chiave per raggiungere il successo, cosa che potrebbe avere un significato per me piuttosto che per qualcun altro. Cosa diranno poi di me dopo la mia dipartita? Mi interessa relativamente. Io ho comunque vissuto la mia vita a modo mio.
MH: Ma, dai, provaci: cosa pensi potrebbero dire?
SS: Di tutto, di più, ci sono sempre i fans che avranno capito di più, quelli che invece hanno voluto cogliere soltanto alcuni aspetti di quel che è stato il mio lavoro in quanto non vogliono spingersi più in la… poi ci sono gli haters che comunque ne parleranno sempre male. Fa parte del gioco. È molto vario quel che potrebbero dire. Non ho mai raggiunto il successo di gente come Rolling Stones o Black Sabbath, conosciuti in tutte le parti del mondo nelle quali tutti hanno qualcosa da dire. È stata una cosa molto più di nicchia. Chi ha capito e mi conosce e che considero non solo fan ma anche amico, sa bene che io ho voluto comunque trasmettere il mio messaggio personale il quale ha anche aiutato delle persone: questo mi fa molto piacere, mi gratifica. Ho ricevuto tante mail o messaggi di persone che mi dicono “ti ringrazio perché grazie alla tua musica, grazie a quello che hai scritto, mi hai aiutato a superare un momento difficile della mia vita”. Queste sono delle gratificazioni che secondo me sono molto più importanti di quelle legate al mettermi in tasca mille euro in più o in meno di royalties o di vendite di un disco. Non ho mai guardato molto a questo. Poi uno che fin dall’inizio, mette su una band che fa musica estrema, in Italia, dove nel nome c’è sia la parola morte che ‘SS’, ovvero i due tabù più grossi che ci sono, e fa quello che faccio io sul palco, difficilmente uno così può pensare di avere del successo commerciale, di diventare i nuovi Pooh o Vasco Rossi. Era chiaramente una cosa di nicchia, lo è ancora oggi, anche all’estero dove queste cose sono più ben viste. Inoltre è una cosa strana che i Death SS siano stati così tanto riscoperti all’estero soltanto ultimamente, ed infatti continuo a ricevere gratificazioni tutti i giorni, comunicazioni da tutte le parti del mondo… tanto che mi viene da dire “Ma ve ne siete accorto soltanto adesso? Sono in giro da 40 anni!”
MH: Estero: andate al Wacken l’anno prossimo, vero?
SS: Si, se si farà. Pure lo Sweden, poi in Danimarca… Ma noi più di tre o quatto concerti non li vogliamo fare, ovvero io non li voglio fare… per cui solo eventi belli e non più di tre o quattro all’anno. Basta.
MH: Ma al Wacken com’è che siete nel bill?
SS: Ci hanno chiamato loro! È uscito il disco “Rock ‘n’ Roll Armageddon” anche in Germania con la High Roller Records, è stato distribuito abbastanza bene, finalmente si sono accorti che esistiamo, ci hanno distribuito e quindi si fa. Oh, non è che mi sono strappato i capelli dalla gioia, però si farà.
MH: Però dopo tutti questi anni, considerando che tu hai quasi trovato la tua pace… è fico essere chiamato ancora al più grosso festival in Europa… mi sembra poi siate headliner o quasi…
SS: Headliner, si, forse non del palco principale. Perché se c’è la scelta come nel 2001, ovvero suonare sul palco principale di pomeriggio sotto il sole o suonare come headliner sul palco secondario, il quale è comunque identico come dimensioni, io non ho dubbi, scelgo il secondo.
MH: Che poi il tuo spettacolo funziona di notte, di giorno perde mordente…
SS: Non esattamente, ma non ha la stessa valenza. Mi è capitato quando abbiamo fatto il Gods of Metal nel 1998 e abbiamo suonato alle due del pomeriggio. In quel caso fai la tua parte, il tuo dovere, ma è un compito così da eseguire, non è una cosa che ti esalta.
MH: Un saluto. Una maledizione. Un anatema. Un messaggio profondo: chiudi come vuoi…. dicendo qualcosa ai tuoi devoti fans ed ai lettori di Metalhead.it…
SS: Difficilissima questa, la più difficile… ma no dai, anatemi e maledizioni a nessuno. Un saluto sicuramente a tutti quelli che hanno avuto voglia di leggere l’intervista. Invito tutti a leggere il libro, non tanto dal punto di vista commerciale, ma perché penso sia una cosa divertente. E poi speriamo di vederci a qualche evento, una presentazione, un concerto. È molto bello il contatto fisico e visivo con il pubblico, con i fans.
MH: Se ce lo lasceranno fare…
SS: Se ce lo lasciano fare. Anche perché se lo facciamo vuol dire che finalmente si ritorna un po’ alla normalità.
MH: Ma.. il prossimo album? Quando uscirà?
SS: In realtà è in cantiere il prossimo album. Il decimo album dei Death SS.
MH: Il decimo comandamento?
SS: Il nostro decimo girone! Quando? Dipende da molti fattori, anche non voluti. Questa situazione che si è creata ha limitato un po’ tutto e fatto slittare tutti programmi. Comunque sarà qualcosa di diverso da “Rock’n’Roll Armageddon”.
MH: Ma l’album è già stato scritto?
SS: A livello artistico è già tutto scritto e rifletterà il clima dei tempi!
(Luca Zakk)
I due libri citati nell’intervista sono editi dalla Tsunami Edizioni:
IL NEGROMANTE DEL ROCK – Le origini dei Death SS (1977-1982) Steve Sylvester con Gianni Della Cioppa 256 pagine + 16 a colori – 16×23 – ISBN 978-88-94859-35-5 | LA STORIA DEI DEATH SS (1987-2020) Steve Sylvester con Gianni Della Cioppa e Stefano Ricetti 544 pagine + 32 a colori – 16×23 – ISBN 978-88-94859-37-9 |