fotoushasHanno semplicemente sconvolto i miei piani. Nonostante la mia apertura mentale relativa alla musica, devo ammettere di avere una barriera eretta tra me e il “rock” (tra virgolette!) italiano. Credo si tratti di un passato, di un mercato, di un modo di pensare che definisce “rock” ciò che rock non è. Sbaglio? Sono nel giusto? Non serve rispondere, anche perché si tratta di una mia personalissima opinione. Ad ogni modo a volte succedono cose che deviano certe convinzioni, lo spirito che appare agli occhi dell’ateo. E nel mio caso, i romani Ushas sono proprio uno spirito che ha minato la mia miscredenza relativa alla validità del rock Italiano, del rock IN Italiano. “Verso Est” è viaggio, è meditazione, è rabbia, è dannazione, è maledettissimo rock. Ma è 100% italiano, anche nei testi. Dopo averli recensiti con un voto alto, estremamente meritato, una nuova visone mistica mi ha spinto verso la ricerca di una conoscenza più vasta, più universale… e così li ho intervistati!

Ciao Ragazzi, grazie per l’opportunità di intervistarvi. Avrei giusto un po’ di cose che vorrei sapere da voi.. vediamo se mi aiutate…
MH:Ditemi un po’ di voi. So che vi siete formati negli anni ’90. dopo più di dieci anni avete vinto un contest per band emergenti (molte band dopo 10 anni sono decadenti!). Solo ora è uscito il vostro album di inediti. Chi siete, cosa volete, cosa urlate al prossimo?

Tutti: Un fiorino! (cit. “Non ci resta che piangere”)

Filippo (chitarra e fondatore): Noi siamo il risultato della nostra immaginazione, che a volte pretende l’impiego di un distorsore, a volte si colora di canti, storie, passi perduti, sguardi di genti e strade lontane. La nostra strada è il rock e, nel nostro essere in grado di fare quello che vogliamo, siamo allergici ai compromessi!

MH:Chiariamo una cosa: Sono stufo di ricevere messaggi da amici che mi dicono “Hey Zakk, ma non è che tu odi il rock cantato in Italiano? Come mai hai dato un 8 agli Ushas? Che droghe stai usando?”. E questa mia causa di tedio è solo colpa vostra. Che vi piaccia o no. Però siate cortesi e spiegatemi: come mai avete osato fare un rock/metal cantato nella lingua del rock “non puro”, quello marchiato dai soliti noti, da quei personaggi così poco rock’n’ roll, così falsamente proibiti e ribelli che pure il telegiornale annuncia il loro nuovo disco. Non avete paura di finire in quella triste categoria e perdere la vostra essenza così dinamica e pura?
Giorgio (Voce): Cantiamo in italiano principalmente per due motivi: il primo è relativo alla bellezza della nostra lingua e anche al fatto che, senza dover per forza utilizzare parole banali, la nostra lingua mostra una sua nascosta duttilità. Essendo inoltre cultori del rock anglo-americano, rispettando i giusti canoni che contraddistinguono questo universo musicale, possiamo creare delle linee vocali nella nostra lingua senza cadere nel solito classico e scontato canto melodico italiano. E comunque non basta sporcare una chitarra con il distorsore per fare rock! (E a buon intenditor…)

MH:No davvero: il vostro rock in Italiano è una figata. Mi avete convinto… Mi piacciono i testi. Mi piace l’abbinamento musicale. Oltre alla lingua di Dante, cosa alimenta le vostre ispirazioni stilistiche?
Filippo: L’origine della nostra ispirazione è variegata: sicuramente la letteratura beatnik americana, con i suoi poeti e i suoi visionari, è per noi un punto di riferimento grazie alle sue parole suggestive ed evocative.  A questo abbiamo aggiunto l’amore per il viaggio “On the road” (io stesso ho viaggiato diverse volte in India per mezzo dell’autostop) e per la visione filosofica specifica del buddhismo indo-tibetano. Insomma, la nostra musica trae spunto da quello che io chiamo “andare per strada a vedere che cosa succede”, un calderone di visioni e culture differenti che sempre hanno trovato punti di contatto dando vita a nuove suggestioni.

MH:Rock in Italiano, ma con argomenti che viaggiano, che spaziano. C’è il lontano Est, molto magico Oriente. Ci sono divinità con un gusto esoterico.
Filippo: Come puoi intuire a questo punto, il richiamo che viene da est, dall’India, dal Tibet e dalla via della seta, è irresistibile, molti dei miei versi sono nati su quelle strade, e molti dei miei versi sono diventati canzoni degli Ushas. Ho soggiornato spesso in monasteri tibetani sull’Himalaya o ricostruiti nell’esilio indiano, l’incontro con i maestri del Tibet, con le loro parole e con le loro visioni hanno determinato in me un nuovo modo di fare la mia strada, un nuovo modo di assaporare quello che succede. Le divinità rappresentano proprio questo, un modo nuovo, nuove possibilità.

MH:Rock a base di benzina, proiettili, deserto e sudore che diventa mistico, magico. Rock pieno di fretta e frenesia che diventa zen, diventa una pacifica e paziente preghiera orientale. Come mescolate due culture così opposte?
Filippo: Benzina, proiettili, deserto e… abbandono di sé stessi  e strade nuove, il cielo canta tuonando e la frenesia si dissolve nello sguardo fisso di chi è libero dal dover sempre cercare qualcosa. Facciamo di due culture opposte un’unica strada che parte in un modo e finisce in un altro.

MH:Piacere carnale contro accrescimento spirituale. Voi li abbinate nelle vostre canzoni….
Filippo: Il sesso, quando non è maniacale, compulsivo e distorto, è vitale, e la vita, almeno per chi non rinuncia al mondo scegliendo strade di ritiro, è qui e ora nel mondo che ci circonda. Per l’aspetto tantrico del buddhismo, ad esempio, il concetto di spiritualità consiste nel vivere la vita senza ossessioni, bramosie e falsi bisogni, trasformando le nostre visioni distorte senza rinunciare al mondo. Quindi il sesso è una aspetto fondamentale della nostra vita e può comportare consapevolezze inaspettate.

MH:Parlatemi del moniker. OK, più o meno so cosa vuol dire, ma a guardarlo scritto su quella copertina ha un feeling anni ’70, ha un feeling di cose anche diverse da ciò che effettivamente suonate. Cosa racchiude “Ushas”?
Filippo: Ushas è il nome della dea dell’Aurora degli antichi testi vedici indiani, l’aurora porta con sé un nuovo inizio, un nuovo giorno, ma anche la consapevolezza che, immancabilmente, al nuovo giorno seguirà una nuova notte, a un inizio seguirà una fine, e un nuovo inizio, e ancora e ancora. Il cambiamento è inerente alle nostre esperienze esistenziali, che lo si accetti o no.

MH:Le moto. Così a memoria ricordo almeno due vostre canzoni che toccano l’argomento moto. Stiamo toccando un argomento importante: la mia unica religione. Immagino ci saranno altri deviati a due ruote che vi ascoltano, che leggeranno questa intervista. Moto perché le amate? Moto perché quando non suonate ci siete sopra? Moto come simbolo di fuga e ribellione?
Filippo: Ebbene si, possiedo una magnifica Harley (ma se fosse altro sarebbe lo tesso, “importante è la strada!!!”), e a cavallo del mio bolide d’acciaio tante sono state le storie, i viaggi, le facce e luoghi comparsi nella mia vita a cambiare le mie vicende, la moto è il mio mezzo, il mio tramite, e non solo per macinare chilometri, andare a raduni o sgasare sotto i tunnel (ride, ndr) ma anche per meditare, nel silenzio del rombo di tuono del motore bicilindrico…

MH:”Maledetta Notte”. Gran pezzo. Molti penseranno “se torno a casa e la mia tipa mi porta in un posto del genere, è la notte della mia vita”. Ma in realtà in questa storia le cose si mettono male, con il protagonista che già presagiva il peggio. Di cosa parla veramente il testo?
Filippo: “Maledetta Notte” diverte amici e fans e viene vissuta come una canzone allegra e “scanzonata”, ma la verità è che ha un testo tragico, una vicenda in cui la noia, il disinteresse reciproco, il senso di vuoto esistenziale e l’egoismo prendono il sopravvento e guidano le persone a compiere azioni inutili, estreme e sempre più deleterie.  Abbiamo vuoti emotivi talmente vasti e devianti che ormai scambi di coppie, case di appuntamenti e altre idiozie del genere sono quasi normalità, tanto per fare degli esempi, e quando anche il sesso diventa noioso e c’è bisogno di arrivare a dei limiti assurdi pur di trovare uno stimolo, vuol dire che siamo arrivati alla frutta (marcia, ovviamente).

MH:Ragazzi, siete stati gentilissimi. Due cose: un saluto ai lettori di Metalhead.it, ed un verso -avete un gusto poetico, si vede- per salutare tutti…
Tutti: Un saluto gigantesco a tutti i lettori di Metalhead, Rock ‘on Guys, la strada che porta al vero non si ferma mai!

(Luca Zakk)

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