Tatsuo Toshida, l’autore del celebre anime “Yattaman”, sarebbe fiero dei romani Yattafunk! Si perché l’estrosa band capitolina che nel nome “Yattaman”, rappresenta per goliardia e qualità proprio le scene di quel cartone animato. In realtà la similitudine però è circoscritta al solo nome, gli Yattafunk infatti sono ben altro, hanno un grande spirito creativo, testi bizzarri che quasi li fa passare come dei Mr.Bungle ‘de noantri’. Bando ai paragoni però, per capire meglio i Yattafunk occorre leggere le parole del simpatico ed equilibrato Funk Norris (sulla carta d’identità c’è scritto Gabriele Mangano) cantante e chitarrista. Evvia* gli Yattas!
*Il responsabile di ‘giapponesisitica’ in Metalhead.it mi fa sapere che “yatta” è una espressione di esultanza in giapponese. Il loro ‘ce l’ho fatta’, insomma.
Perché voi siete gli Yattafunk? Potevate suonare grindcore, brutal death metal o glam rock ed esibirvi con capelli cotonati, invece siete gli yattafunk! Cioè suonate in un certo modo…
Si, in parte è vero, nel senso che non essendo musicisti alle prime armi, tutti noi abbiamo esplorate parecchi mondi prima di approdare sulle rive del funk-metal (o alternative funk metal come ci definiscono il più delle volte). La decisione, del tutto spontanea e non studiata a tavolino come potrebbe sembrare, è nata dall’amore per band del calibro di Infectious Grooves, Grand Funk Railroad e Suicidal Tendencies e grazie al modo di suonare del bassista (Funk Spencer/Andrea Proietti). Quando hai un vero animale da slap e velocità assurde non puoi rinchiuderlo, legarlo, limitarlo a un giro di accordi.
Inoltre il nome della band deriverebbe, credo, da un anime giapponese, giusto? Tuttavia mi soffermerei sul ‘funk’ nel vostro nome.
Già, Yattaman. Che bei ricordi. Volevamo accostare la parola funk in modo divertente a qualcosa di conosciuto, famoso ma che sottolineasse a quale generazione i quattro musicisti della band appartengono. Per quanto riguarda il funk, un po’ l’ho detto prima, siamo stati costretti, tra virgolette, dalla bravura del bassista ad esplorare il mondo del funk, soprattutto per quanto riguarda il groove in generale. E’ nato tutto dal cuore però, nessuno ci ha o si è imposto nulla. E la cosa ci soddisfa molto.
Anche voi come i Deep Purle avete avuto le vostre mark. Tre se non erro. Che anni sono stati e che bilancio ne trai da queste formazioni che vi hanno portato a crescere come Yattafunk?
Si vede che sono un pò fissato con i Deep Purple anche? Cosi da riprendere anche il loro famoso discorso sulle mark? E’ cosi tanto evidente? Scherzi a parte, si, questa è la terza formazione. Nelle precedenti a cambiare è stato sempre e solo il batterista, ora con Funk Travolta (Francesco Proietti) abbiamo trovato la dimensione definitiva. Inizialmente gli Yattafunk erano solo un side-project per tutti noi, poi a metà 2015 è diventato qualcosa di più grazie ad una serie di fortunati (o sfortunati) eventi. Io ho rescisso un contratto per quanto riguarda la mia precedente esperienza alternative metal solista e ho congelato il progetto. Arnold Funkenegger (Ilario Mangano) oltre ad essere mio fratello, era anche il chitarrista solista di quel progetto, quindi ci siamo diretti entrambi nella stessa direzione e percorso la Yatta-road insieme. Le band degli altri componenti anche alla fine si sono sciolte o le hanno sciolte per dedicarsi anima, corpo e sudore agli Yattafunk. Complice sicuramente anche la consapevolezza di aver capito che quello che in realtà inizialmente era partito quasi come un gioco, ora stava dialogando in tutto e per tutto con la nostra anima musicale.
Dal punto di vista testuale invece siete un qualcosa che mira al divertimento: divertirsi e divertire. Tuttavia la vera tematica che li genera qual è?
I testi non hanno assolutamente niente da insegnare a nessuno, preferisco rimanere anni luce distante da questa gimmick che molti cantanti o frontman si cuciono addosso. Non sarei in grado di farlo, ma sono in grado di scrivere testi folli, al limite del delirio, divertenti che possono parlare di noi o di situazioni totalmente assurde. Quindi la vera tematica, tutto quello che ruota intorno ai testi, è non avere nessun confine o paletto all’assurdità. In una recente intervista ci hanno definito gli “Elio E Le Storie Tese” del metal. Ora, io non mi azzardo minimamente a confermare il paragone perché la prima cosa che faccio ogni mattina è sempre una bella doccia d’umiltà, ma a grandi linee rende l’idea di che tipo di band puoi trovarti di fronte. Poi gli Yattafunk o li ami o li odi, non siamo una band da diplomatica ‘via di mezzo’. Da questo punto di vista ad esempio le critiche costruttive sono sempre oro colato per quanto mi riguarda, serviranno a migliorare me personalmente come musicista e sicuramente a far maturare ancora di più la band.
Siete a Roma. C’è un qualcosa che si può definire ‘scena’ nella capitale d’Italia? Esiste oppure no?
C’è sicuramente una grande offerta di buone band a Roma, il problema è la domanda che non basta per tutti. E comunque parliamo sempre dell’underground. Il salto di qualità nel mondo mainstream non saprei neanche dirti se ad oggi è ancora possibile farlo con questi generi musicali e in tutta sincerità non è neanche un problema che mi pongo. Se avessi avuto solo fame di riflettori, gloria e gossip è altamente probabile che la strada da percorrere l’avrei dovuta trovare in tutt’altro sentiero. Poi non tutti sono in grado di garantire interesse tramite la loro immagine, non basta solo il talent show di turno, secondo me devi anche essere nato per quel tipo di fama. Io sarei ridicolo solo vestendomi in un certo modo, farei ridere chiunque e verrei giustamente insultato dalla mattina alla sera per il fatto di essere impresentabile in quel modo e improponibile in quel mondo.
Ti faccio un ragionamento: si vendono sempre meno CD o comunque formati fisici e i supporti di ascolto sono cambiati. La fruizione stessa della musica è cambiata. In questo scenario ha ancora senso inseguire la volontà di incidere e pubblicare un album, su CD o vinile? Che soddisfazioni offre e cosa invece proprio non conviene?
C’è assoluta verità nella tua domanda. Un album non deve essere l’unico punto d’arrivo di una band secondo il mio modesto parere, ma certo fa sempre la sua bella figura accanto alla tua collezione di CD, magari vicino a quelli dei Metallica! Un giorno avrai qualcosa da far vedere e ascoltare ai tuoi figli, ai tuoi nipoti. Ma, romanticismo a parte, il mondo della musica è cambiato tanto negli ultimi anni. C’è bisogno di essere guidati, a noi spetta il compito di scrivere, creare e suonare musica, non possiamo fare anche da booking, etichetta, management, curatore dell’immagine e via dicendo. Bisogna affidarsi a qualcuno insomma. Nel nostro caso l’album è in mano alla Ghostlabel Record, l’immagine, il management (e booking quando necessario) della band invece è gestito dalla Ronin Agency con cui abbiamo raggiunto un accordo pochissimi giorni fa. Sono professionisti del settore da questo punto di vista. Noi sappiamo solo suonare e proviamo un amore smodato nei confronti della musica a cui non potremmo mai rinunciare, ma marketing non l’ha mai studiato nessuno di noi. Non pretendo di dire che è solo così che vanno fatte le cose, ci sono tanti consigli cercando nel web o spulciando tra i video di YouTube che per quanto riguarda me, ed esclusivamente me, non ritengo sufficienti. Io non sono in grado di improvvisare, preferisco persone o realtà competenti intorno a me che credano nelle potenzialità della band così fermamente da lavorare per migliorare. Tanto c’è sempre da migliorare, nessuno arriva alla perfezione totale. Mai e in nessun campo.
Però se tutto oggi è anche un business e in una certa misura immagine, ci possiamo aspettare gadget degli Yattafunk? Statuine, toppe, tazze con le vostre facce!
Come no? Dobbiamo ancora pensare bene a che tipo di merchandise mettere in campo. Si, le magliette, le spillette o i plettri personalizzati vanno bene. Ma ci vuole qualcosa di divertente anche li.
Davvero grazie per la tua disponibilità e spero che questa intervista vi aiuti a trionfare ovunque e sconfiggere i vostri nemici! Ironia a parte, grazie ancora e a te le consuete parole di chiusura.
Grazie a te e alla redazione per il tempo dedicato agli Yattafunk e le domande veramente interessanti che mi hai fatto. Stavolta le mie parole di chiusura le dedico proprio a tutti voi addetti ai lavori che grazie alle vostre webzines date sempre grande spazio all’underground. In un certo senso fate parte della band anche voi ogni volta che recensite un nostro album o ci fate un’intervista. L’underground è veramente una grande e bella famiglia. Tutti fratelli sotto lo stendardo del distorsore!
(Alberto Vitale)