Determinazione. Non credo ci siano altre parole per descrivere la migliore qualità di Gerardo Cafaro e del suo Agglutination, che a dispetto di infiniti problemi è ormai prossimo al ventennale (questa del 2013 era la XIX edizione). Stavolta il nemico principale – dopo aver abilmente risolto il problema location scegliendo lo stadio di Senise (PZ), facilmente raggiungibile dall’autostrada – erano le condizioni meteo: dopo venticinque giorni di siccità e temperature prossime ai 40°, gli dei sembravano proprio intenzionati a scegliere il 10 Agosto per un bel temporale… beh, mi spiace per chi ha rinunciato fidandosi delle previsioni ma il tempo è stato splendido, anzi alle 18 c’era già una gradevole frescura, e le nuvole sono rimaste solo all’orizzonte. Ottima scelta, quindi, per chi ha deciso di lanciarsi lo stesso all’avventura: e credo che quest’anno il promoter possa essere veramente soddisfatto, dato che l’ampissima area concerto pululava di metalheads (è sempre difficile fare stime, posso solo dire che sono arrivato fra i primi ed erano già stati staccati 300 biglietti… credo che le presenze totali siano state, alla fine, più del doppio).
I soliti problemi alla cassa accrediti (quelli, in Italia, ahimé non mancano mai, che sia l’Agglutination o il Gods of Metal) mi impediscono purtroppo di entrare per il puntualissimo inizio. Chiedo quindi scusa ai REBÜRN e ai BLIND HORIZON, entrambi romani, se mi sono perso il loro show: ho sentito scampoli del concerto dei secondi e la loro proposta mi è sembrato un convincente melodic death. In compenso posso godermi i FOLKSTONE (in foto), spostati indietro in scaletta per esigenze organizzative: i bergamaschi sono sempre trascinanti dal vivo, e noto con piacere che molti dei convenuti conoscono e cantano i loro pezzi. “Il Confine”, “Damnati ad Metalla”, “Non sarò mai” sono inni creati per essere eseguiti dal vivo e far divertire il pubblico; simpatica l’interpretazione di “Un’altra volta ancora” di Roberta, che chi ha il dvd “Restano i frammenti” ha già potuto apprezzare in tutta la sua divertente irruenza.
È poi il momento dei NATRON, band pugliese fautrice di un brutal death sfrenato e torrenziale. Onestamente, però, mi è sembrata un po’ sterile la continua polemica del singer, che ha lamentato la posizione in scaletta e l’esiguo tempo a disposizione per lo show (25 minuti). Certamente la formazione è attiva ormai da vent’anni e può avanzare richieste ambiziose, ma mi sembra che l’Agglutination sia comunque un palco importante, e che un atteggiamento di questo tipo, dopo aver accettato di suonare, sia decisamente poco costruttivo. Poi ognuno la pensa come vuole, eh!
Gli ELDTRICH (in foto) si dimostrano dal canto loro professionali quanto potenti, con le loro tastiere spaziali e la voce melodica dello storico cantante Terence Holler. Anche in questo caso, il pubblico appare ben informato: “Scar”, l’oscura (guarda caso) “Blackened Day”, e soprattutto la durissima “Everything’s burning”, dall’ultimo disco “Gaia’s Legacy”, che mostra l’ultima evoluzione del sound dei toscani, mi sembrano i punti di forza di uno show impeccabile, che culmina nella conclusiva “Reverse”, cantata a squarciagola da buona parte del pubblico. Power/prog fra i migliori che offra, al momento, il nostro Paese!
Siamo ormai al tardo pomeriggio quando salgono sul (secondo) palco gli HEAVENSHINE, potremmo dire la band di casa, dato che – come è a tutti noto – sono sponsorizzati e prodotti dallo stesso Gerardo Cafaro. Piccole sbavature nei volumi (ma credo fosse per i nostri il primo concerto in assoluto, su questi problemi tecnici possiamo sorvolare!) non impediscono alla band napoletana di offrire un’ottima performance: dieci e lode alla potentissima voce di Miriam Cicotti e al suo splendido vestito lilla mosso dal vento. La soprano (in foto) costituisce certamente la marcia in più della loro esibizione, e i suoi altissimi acuti sono veramente straordinari. Per questo, l’alternanza fra le due voci (la seconda è del mastermind Marco Signore) è spesso da pelle d’oca (in particolare su “Atlantis reloaded”); incredibile come sempre il bassista Ly Holestone, per anni colonna ritmica dei Marshall. Per la titletrack ci sono addirittura sul palco tre cantanti; si chiude con una bella cover di “Phantom of the Opera”. Direi che il promoter dell’Agglutination ha fatto molto bene a puntare sul sorgere di questa “Black Aurora”!
Anche il cielo si rabbuia quando è il turno dei MARDUK (in foto), e il loro arrivo sul palco è coinciso con l’unico momento in cui ho temuto che i soliti ‘gufi’ avessero ragione, e che sarebbe piovuto tutta la notte. Chi segue questo portale sa bene che io e il black metal non siamo amici, ma devo riconoscere alla band svedese la capacità di creare un concerto totalizzante, che coinvolge a 360° anche chi non conosce le loro capacità (come me, appunto). Ma trovarsi a cantare “Imago Mortis” o addirittura “Christ raping Black Metal” senza aver mai ascoltato i loro dischi credo sia la testimonianza migliore della feroce potenza di Morgan e compagni, che naturalmente non concedono nessuna familiarità al pubblico e si allontanano senza dare alcun annuncio. Anche i suoni sono certamente i più perfetti dell’intero set: mi sta quasi venendo la curiosità di ascoltare con attenzione “Panzer Division Marduk”…
E veniamo quindi agli STRATOVARIUS (in foto). Attendevo Kotipelto e soci con grande trepidazione e sono un po’ deluso. Un po’, non totalmente, e quindi salvo lo show dei finnici: ma i campioni del power metal mi sono sembrati decisamente stanchi (venivano direttamente dalla Slovacchia) e hanno lamentato più volte il fatto di dover suonare senza la propria strumentazione (arrivata nientemeno che a Berlino per un disguido con l’aereo). In particolare è il singer a metterci un bel po’ a carburare (sui primi pezzi è poco incisivo), e la scena gli è spesso rubata dal terremotante basso di Lauri Porra. Un vero delitto, poi, togliere dalla scaletta “Father Time”: i dieci minuti di “Destiny” potevano tranquillamente essere tagliati per fare spazio a un altro classico oltre “Black Diamond”, “Hunting high and low” e “Kiss of Judas”. Ma devo dire che i pezzi più recenti (in particolare l’immediata “Fantasy”, l’ariosa “Halcion Days” e il singolo “Unbreakable”) reggono bene il confronto con le antiche glorie. Alla fine, un concerto un po’ di maniera, ma il pubblico lucano sembra perdonare i finlandesi con una risposta estremamente calorosa.
Ed eccoci quindi agli attesissimi headliner, naturalmente gli OVERKILL (in foto). Gli americani ricordavano benissimo di essere stati in Lucania qualcosa come quindici anni fa, ed hanno apprezzato il calore del pubblico e l’incredibile crescita che il festival ha avuto durante la loro assenza. Con gli ultimi due dischi, i thrashers sono peraltro tornati ai fasti di un tempo, e la scelta del set è molto indovinata: predominano i classici come “Rotten to the Core”, “Elimination” e l’epica “In Union we stand” (in generale vengono altamente privilegiati i primi cinque dischi, da “Feel the Fire” a “Horrorscope”), ma non si trascurano brani recentissimi, come ad esempio l’instant classic “Save yourself”. Il risultato è che l’esecuzione è terremotante come non mai! Inspiegabile ma tutto sommato divertente il comportamento di Bobby Ellsworth: oltre a litigare continuamente con l’asta del microfono (a un certo punto se ne fa passare una nuova, dopo aver praticamente smontato la precedente), si allontana dal palco quasi ad ogni strofa, finendo per arrivare in ritardo in un paio di occasioni, e costringendo i suoi compagni a vere e proprie peripezie per riprendere il filo dei brani! Lo show dura poco più di un’ora ma è di altissima intensità, e il pogo, come potete immaginare, è scatenato ben oltre le prime file.
In conclusione, un grandissimo grazie va ancora una volta a Gerardo Cafaro, che ha offerto ancora una volta al Sud Italia una manifestazione degna dei palchi del centro Europa. E non oso immaginare cosa vorrà proporci il prossimo anno, per il ventennale della sua sempre più famosa creatura!
(Renato de Filippis, con la collaborazione di Stefano Quaranta – foto di Raffaele Aulisio)