Ci sono due categorie di persone. Quelle che conoscono il leggendario Arthur Brown e quelle che non ne hanno mai sentito parlare. Tra questi ultimi, ci sono quelli che comunque conoscono il brano “Fire”, originale o cover… e quelli che sono vissuti e vivono tutt’ora in un guscio, in un’altra dimensione, dentro un marsupio… comunque fuori dal questo mondo, fuori dal mondo della musica. Di queste -in totale- quattro categorie, le ultime tre non hanno speranze… mentre la prima è perfettamente in grado di capire l’emozione che io posso aver provato nell’osservare, nell’assistere ad un concerto dell’unico, del mitico, del leggendario Dio del Fuoco Infernale.

È noto che questo ribelle sia fin troppo innovativo (oggi sarebbe forse definito con un aggettivo interposto tra rivoluzionario e avant-garde), assolutamente unico. Questo ‘ragazzo di 80 anni’ non sente la stanchezza, non si ferma mai, non esita a salire in un furgone e girare per mezza Europa per suonare i suoi concerti. Età avanzata? Dimenticatevelo. Voce al massimo. Poesia senza limiti. Teatralità, fisicità e conseguente cambio repentino di costumi di prim’ordine… compresa l’esecuzione di “Fire” in linea con la tradizione, con quella torcia che brucia impetuosa in testa.

Suvvia, siamo sotto Natale… voglio essere buono. Voglio mostrare della pietà a coloro -poveracci- che giungono qui dopo un viaggio intergalattico in regime di ‎crioconservazione: Arthur Brown viene prima del metal, del rock estremo, dell’horror rock, del make up e del face painting. Viene prima del metal che amiamo. Senza di lui? Scenario desolante: niente Kiss, niente Iron Maiden, niente Alice Cooper, cazzo! Niente Death SS, tanto per giocare in casa nostra. E niente black metal norvegese e derivati. Praticamente senza di lui, forse, vi ritrovereste a gridare ‘Hail! Hail! Hail!’ mostrando le corna al cielo… ad un concerto di Celentano o Cristina d’Avena. Dai! Dai! Hail Satan e Hail Renato Carosone!

Vedete, quando la maggior parte di voi eravate in fasce o nemmeno concepita, Arthur Brown veniva arrestato a Palermo per essersi esibito sul palco completamente nudo, uno dei tanti spettacoli nei quali si spingeva OLTRE i limiti. Il suo singolo più famoso, “Fire”, non solo anticipa tematiche che poi saranno sia il pane che i denti di qualsiasi forma di rock, metal e contenuti di tendenza misteriosa o occulta… ma sarà un brano oggetto di cover da parte di… beh… tutti, principe delle tenebre -Ozzy Osbourne- compreso. Arthur ha recitato in “Tommy”, il film basato sul disco di The Who… ha suonato con Carl Palmer, ovvero il Palmer di Emerson, Lake & Palmer; Arthur ha lavorato con lan Parsons Project, David Gilmore, The Prodigy, Bruce Dickinson, The Stranglers, Kula Shaker e Die Krupps. E chissà quanti altri.

Eccessi, stranezze, occulto, mistero, esagerazioni psichedeliche. Un artista senza il quale per davvero non esisterebbe Alice Cooper, secondo le parole di Alice Cooper stesso, un uomo più avanti del suo tempo (lo ha detto Sir Elton John), una grande influenza per Bruce Dickinson, un performer a 360° tanto che Pete Townshend (quello dei The Who) lo ha definito tanto cantante quanto ballerino…. cosa che ora vi posso confermare anch’io, che ho avuto l’onore di vederlo dal vivo, in questo rinascente 2022. E lui, dopo decenni di carriera, eccolo che ancora si scatena sul palcoscenico, supportato da una band giovane, creativa, fantasiosa, potente ed intuitiva. Il suo concerto? Forse la cosa più psichedelica e surreale immaginabile dopo un concerto degli Hawkwind. E ribadisco il ‘forse’ (nella speranza che sappiate chi sono gli Hawkwind… altrimenti -ahimè- dobbiamo ricominciare tutto d’accapo.

Il fuoco del Pazzo Mondo di Arthur Brown brucia: ‘Fuoco per distruggere tutto quello che hai fatto, per porre fine a ciò che sei divenuto. Ti sento bruciare!’…. che ne dite per un testo del 1968, cantato da un tizio con face painting e movimenti scenici tanto armonici quanto eso-ist-erici?

Stiamo parlando di un tizio che ha pubblicato il suo grandioso debutto, “The Crazy World of Arthur Brown”, un anno prima di “Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls” dei Coven, forse la prima occult/satanic-metal band della storia (sulle foto di quel disco loro mostrano le corna con la mano, anni prima del famoso ‘devil horn’ di Ronnie James Dio). Stiamo parlando di pura leggenda. Della radice di tutto il nostro beneamato male, del nostro tanto voluto ambito oscuro.

E la serata dello spettacolo? Quel 7 dicembre 2022? Contesto favoloso quello del Link di Bologna: nessuna prepotenza, nessuna congrega di metallari con quell’ormai triste atteggiamento che vede lo svolgersi della gara tra i ‘sono la più goth’, ‘sono il più nero’, ‘sono il più cattivo’, ‘sono il più incazzato’. No, al Blow Up Your Mind chiunque giungeva con totale libertinaggio emozionale e stilistico, senza aspettativa di giudizi, vestendosi secondo il proprio gusto per compiacere se stessi e non gli altri. Un miscuglio di rockabilly, punk, metallari, dark, goth, skin, 50’s… con un’altra dozzina di tendenze, dalle più ricercate a quelle che seguono la moda del ‘metto la prima roba che trovo nel cassetto dell’armadio’. Un locale strapieno di gente di ogni età e con una infinita voglia di divertirsi.

Due palchi, tante bands tutte scatenate, in una sequenza di esibizioni senza pausa: le furiose The Loyal Cheaters, gli scatenati The Kaams, gli incontrollabili The Hormonauts, i potenti The Moo-Rays, Arthur Brown e il suo mondo pazzo… fino agli elegantissimi animali che militano nei The Monsters.

Una serata unica. Emozionante. Surreale. Totalmente ribelle e meravigliosamente fuori controllo.

E lui? Arthur… un assoluto ribelle. Pioniere anche oggi di uno spettacolo unico ed inimitabile. Arthur Brown: il vero, il solo, il grande. L’unico vero Dio del fuoco infernale!

(Luca Zakk)

Foto: Monica Furiani Photography

 

Foto: Monica Furiani Photography