Adrenalina pura. È quella che respirata, toccata, sentita, divorata e consumata al mini festival del 30 aprile all’Orion di Roma. Un’esplosione di energia, di anime ribelli, che come tori alla vista del drappo rosso hanno crepato il sottosuolo dell’Orion di Ciampino. Perché questo è l’effetto che fa la musica in questione. Eventi del genere sono rari da queste parti, ma in una sola serata riescono a coinvolgere tante persone, quante bastano a far tremare le pareti.
In ordine di esibizione, Devangelic, Nordjevel, God Dethroned, Suffocation e Belphegor, hanno devastato il palco e il pubblico con le loro note cupe, brutali e a tratti creepy e non da meno le loro ipnotiche performance.
La serata è cominciata un po’ fiacca, visto l’orario di apertura alle 19.30, ma ciò nonostante gli italiani Devangelic hanno subito scaldato l’atmosfera dando la giusta carica. Decisamente bravi tecnicamente, tenevano il palco e gli ospiti in pugno, i loro pezzi sono stati apprezzati con entusiasmo, un brutal death metal il loro, che non scade mai nel banale e tiene il pubblico con gli occhi sgranati e il battito sostenuto. Si è subito entrati nel mood della serata.
Foto: Alex Altieri
Questa forza che ti colpisce così forte come fosse un pugno in faccia è stata un pò smorzata dal sound oscuro e quasi horror dei Nordjevel, con sonorità gelide, dure e primitive, la perfetta descrizione del black metal tradizionale. Brani brevi, netti e diretti, che non hanno particolarmente affascinato la folla, al contrario quello che ci ha fatto tenere gli occhi su di loro, sono stati i dettagli della scena: i costumi di pelle rigorosamente borchiata e munita di spikes, lunghi tre volte un indice, su braccia e gambe, collane di ossa di animale, lenti a contatto bianche, face painting estremo contornato dal sangue posto in calice che ha incorniciato tutta la performance del cantante Doedsadmiral. Sangue, non posso dire se fosse vero o finto, finito un po’ ovunque, sulla stessa faccia di Doedsadmiral, sui vestiti, sul palco, macchiando inevitabilmente tutto e rendendo la scena ancora più spaventosa di come non fosse già. Come ogni band black metal, sappiamo che l’interazione con il pubblico è quasi nulla, se non addirittura inesistente, salvo qualche rarissima eccezione anche se, personalmente, di questo genere non condivido molto l’estremo egocentrismo, ma rimane un opinione puramente personale.
Foto: Alex Altieri
Ma ecco l’ora dell’esibizione dei God Dethroned, musicalmente impeccabili, che anche senza scenografia, ma solo con una grande bandiera a fargli da sfondo, e poca attività sul palco, hanno riacceso gli animi e tutto il locale era uno sventolio di capelli e corna al cielo. Ritmo death alternato ad assoli puliti e quasi melodici, brani meravigliosi che sembrava raccontassero storie, hanno sostenuto l’ambiente senza lasciar spazio a cali d’attenzione né di entusiasmo. Nonostante la loro staticità in esibizione, i pezzi uno più coinvolgente dell’altro, eseguiti senza pause e con una precisione maniacale, se ascoltati ad occhi chiusi davano l’impressione di essere in riproduzione da disco.
Foto: Alex Altieri
Saluti e ringraziamenti del gruppo, hanno lasciato spazio finalmente all’entrata in scena dei Suffocation. Senza presentazioni, la violenza degli strumenti si è catapultata dal palco alla folla, il suono deciso e prepotente di un basso suonato a dita nude e delle chitarre stridenti, un’implacabile batteria che per più di un’ora non ha smesso di vibrare e la voce incredibilmente perfetta e profonda del nuovo cantante, Ricky Myers, sostituto dello storico frontman Frank Mullen dopo il suo addio nel 2018.
Pezzi vecchi, quelli del fiore della loro carriera, come “Pierced from Whitin” e “Breeding the Spawn” che hanno aperto un varco tra i presenti innescando un vortice umano in un circle pit che ha coinvolto quasi tutto il locale, nel quale ho visto gente letteralmente volare a terra e addosso al palco. Un pogo sfrenato e disordinato dove i più di noi si sono massacrati. Ho preso talmente tante botte che ho ancora mal di schiena. Tori liberi, cavalli selvaggi, una mandria impazzita al richiamo grindcore e brutal. Il locale in tumulto, la nostra valvola di sfogo, ci siamo praticamente uccisi senza badare troppo a cosa dovevamo dedicare l’attenzione in quel momento se non la voglia di fare casino.
Foto: Alex Altieri
Gli statunitensi non hanno avuto bisogno di grandi effetti, la scena stessa sono loro, movimenti frenetici e ritmici che sembrano studiati per renderti incapace di smettere di guardarli muovendo la testa seguendo perfettamente l’avanzare dei brani. Ricky inappuntabile, si muove con sicurezza e decisione, tenendo il tempo con le mani tamburellando l’aria quasi come se ‘rappasse’, facendo volteggiare il cavo del microfono come fosse un serpente pronto ad attaccare, smorfie sul viso sudato e brevi ma coincise incitazioni al pubblico, hanno mandato fuori di testa l’intera sala. Un basso imponente e danzante left to right on the stage, ha ipnotizzato anche i ragazzi allo stand delle birre. Un vero e proprio massacro durato dodici pezzi. Il locale era pienissimo ed incredibilmente preso.
Pausa sigaretta, un sorso di birra nell’ultima piccola attesa prima dei Belphegor, un attimo per rallentare il battito e riprendersi, quando dal buio intenso calato sul palco comincia ad uscire fumo grigio accompagnato da un odore acuto di incenso che pizzica le narici, si accendono luci di ghiaccio su uno sfondo blu altrettanto polare, si rivelano croci rovesciate e pali con mezze carcasse di animale appese che svettano davanti alle facce della gente emanando anche un certo odore disgustoso, ma è del tutto normale aspettarsi questo genere di cose per enfatizzare la performance.
Entrata arrogante e superba, sguardi persi a guardare nel vuoto come se noi non ci fossimo, zero parole, visi glaciali con un face painting red and white, braceri accesi intorno ai musicisti che sembra abbiano recitato una messa nera per tutta la loro serata. Black Metal ipnotico, spaventoso, ad impatto sonoro eccezionale,strumenti equalizzati eccellentemente, una band matura con una fortissima personalità, dimostrata ripetutamente nell’esecuzione di tutti i pezzi, mentre la gente in adorazione gridava il nome Belphegor da sotto il palco.
Foto: Alex Altieri
Nulla da invidiare ad altre band dello stesso calibro e dello stesso genere, tipo i Watain, solo ho notato un pizzico di sobrietà in più nell’allestimento della scena, rispetto a quello che generalmente ci si aspetta, vista la città dove si è tenuto il concerto. Metodici, precisi, puliti ma poco partecipi con il pubblico, annunciando solo i loro pezzi, i Belphegor hanno chiuso brillantemente l’evento .
Stanca e piena di lividi, mi avvio verso l’uscita. Ci vorrebbero serate così almeno una volta a settimana.
(Simonetta Gino)