‘Noi si è arrivati a Firenze…’… scusate… ho ‘subito’ una massiccia influenza da quella fantastica città chiamata Firenze, popolata da gente ironica e divertente. Dicevo: in vista di una due giorni intensa, arriviamo nel capoluogo toscano il venerdì pomeriggio puntando a quell’obiettivo rappresentato da un sabato e domenica gloriosi, giorni nei quali avremmo assistito a nomi grandiosi della scena rock & metal mondiale.
Con immenso onore siamo ospiti di J.J., front man dei Susy Likes Nutella, nonché compagno di merende di Steve Sylvester nei W.O.G.U.E… quindi proprio nella inner circle dei personaggi della galassia Death SS, band per la quale J.J. compone musica; con queste premesse il venerdì sera non poteva rimanere tranquillo e tanto meno sobrio, pertanto la prima tappa -obbligatoria- non è il palazzo vecchio e nemmeno qualsivoglia attrazione lungo l’Arno, ma bensì il ristorante di Steve Sylvester. Un gruppetto selezionato di musicisti, fans ed amici si sarebbe lì ritrovato per passare alcune ore fantastiche sorseggiando l’ottimo vino proposto dal ristorante… prima di andare oltre, verso una terrazza, una mangiata all’aria aperta ed un tuffo nell’oblio alcolico più devastante.
Benvenuti in un’altra Firenze.
Il Sabato ci rivela immediatamente la fantastica organizzazione del Firenze Rocks. Accessi perfetti (dalla stazione dei treni, due fermate di tram, una passeggiata senza deviazioni e si arriva alle porte di quello che sarebbe stato un Valhalla del rock durante questi due giorni intensi.
Partecipo a concerti da molti anni, di tutte le dimensioni e tipi, in Italia ed all’estero. È il mio lavoro. Ogni evento è unico e rivela la sua qualità dal punto di vista logistico, organizzativo… fino a quello artistico; è naturale fare un confronto, tra locale e locale, fest e fest, open air ed open air… e pure tra le varie versioni nei vari anni di un evento in particolare. La mia esperienza mi rende forse meno tollerante, più osservatore, sicuramente più cinico. Se qualcosa manca, anche se questo non rappresenta un problema, è tuttavia per me impossibile non notarne l’assenza, l’imprecisione globale, piuttosto che la veniale insignificante importanza.
Ma Firenze Rocks mi stupisce. Lo fa durante i due interi giorni ai quali ho avuto il piacere e l’onore di partecipare.
Prima di tutto mi ha impressionato la cortesia di tutti. Proprio tutti! Da quelli alle numerose porte o varchi di accesso a quelli addetti alla sicurezza e logistica in ogni sezione dell’ippodromo. Dagli addetti alle varie aree riservate (giornalisti, oppure diversamente abili, muniti di pass o meno, ecc) fino al personale delle varie tende per il ristoro.
Mi ha stupito notare che nei due giorni consecutivi ogni addetto era ubicato allo stesso posto, per tutto il giorno, rimanendo estremamente cordiale durante tutta la giornata, anche sotto un sole cocente… sempre con un sorriso, sempre fedele al dovere.
L’area del concerto era immensa. Per contenere oltre 60,000 persone al giorno, è ovvio che lo doveva essere. Eppure ogni servizio era raggiungibilissimo e di qualità, sempre e comunque decisamente all’altezza della funzionalità, e del rispetto della dignità umana. Un qualsiasi addetto si rivelava sempre pronto a rispondere ad ogni quesito, eventualmente interpellando i colleghi via radio. Un network impressionante di persone efficienti al servizio del divertimento.
Mai prima d’ora avevo partecipato ad un open air estivo dove tutto era programmato con tale maniacale precisione, con assolutamente nulla di trascurato o lasciato al concetto ‘tanto sono rozzi metallari, si adatteranno a tutto’. Perché forse siamo davvero dei rozzi metallari, ma siamo anche umani. C’erano persone di tutte le età e con le più svariate esigenze, bambini compresi. La chiave per la riuscita di un fest di queste dimensioni non è solo la qualità degli artisti proposti -cosa che attira il pubblico- ma anche la qualità di tutto ciò che permette al pubblico di godere di tali artisti -cosa che mette le basi per l’evento del prossimo anno con conseguente ritorno del pubblico-.
In Italia, tuttavia, le lamentele sono comunque inevitabili. È un po’ nel nostro DNA.
Dal ‘fa troppo caldo’ (è un open air estivo!!!) al ‘è troppo grande’ (ma allora spiegatemi perché non venite nemmeno ai concerti più piccoli). Dal è troppo caro (nessuno è stato obbligato a comprare alcun biglietto, i cui prezzi erano ben noti) al è troppo lontano (da dove, poi, non so!).
Lamentele, poi, che si sono spinte fino alle band sul palco ed al running order.
Personalmente posso capire, ed essere d’accordo, che Avenged Sevenfold non è molto compatibile con artisti quali Ozzy o Judas Priest e, da un punto di vista puramente personale, posso essere d’accordo che non sia sensato avere i Judas in scaletta prima degli Avenged. Ma questa è una opinione personale, proveniente dal mio background musicale e, soprattutto, dai miei gusti in merito. Sessantamila persone non possono avere tutti gli stessi gusti, quindi accontentare tutti è impossibile ma è certamente facile accontentarne molti e, lamentele a parte, le facce post concerto delle migliaia di persone in ordinato esodo altro non facevano che confermare questa soddisfazione euforica.
Tornando agli artisti in cartellone, c’è da dire che l’evento si chiama FIRENZE ROCKS. Non ‘Firenze Metals’. È un fest di quattro giorni con grandi artisti della scena rock mondiale con uno sguardo di riguardo ad una scena più pesante, per nostra fortuna. Dietro a questi quattro giorni ci sono un bel po’ di gatte da pelare: c’è il costo di ogni singolo artista (il quale spesso comporta una trattativa), c’è lo stesso artista da contrattare e gestire… con possibili differenze di prezzo al variare del giorno. Poi non dimentichiamo la disponibilità di ogni singolo artista nella data desiderata… artista che -tra l’altro- deve far combaciare tutte le altre date (date un’occhiata dove erano Iron, Ozzy e/o Avenged il giorno prima o il giorno dopo il rispettivo show day a Firenze). Infine ci siete voi. O meglio, ci siamo NOI. Per quanto Avenged Sevenfold e Judas Priest non abbiano nulla a che vedere l’un l’altro, è innegabile che entrambe le band hanno un numeroso seguito, una vasta fan base… e tali fans servono tutti, assieme e contemporaneamente, per tenere in piedi una giornata simile con un cotale livello qualitativo.
Infine si tratta di musica. Se nel bill c’è una band che non ti piace, ecco l’occasione per la pausa sotto un tendone, con una birra o un piatto della ben fornita cucina. Oppure, restando nell’ambito dell’intelligenza, ha senso provare a vedere cosa fa una band che ‘non ti piace’, perché -forse- dal vivo risulta diversa, coinvolgente e comunque divertente. Se solo imparassimo a divertirci senza lamentarci…
Ma se l’abbinamento Avenged/Judas ha dato origine a queste disapprovazioni globali, io, nel mio piccolo, ho osservato qualcosa di diverso: intanto c’era sempre una marea di mani alzate tra la folla… durante lo spettacolo di TUTTE le bands. Quindi… o c’è stato un totale cambio di pubblico tra una band e l’altra, oppure le lamentele sono solo un trend triste e patetico, pane gratuito per la fame dei social networks. Poi c’è stata una sorpresa: un fest ‘rock’ con una così sostanziale componente metal, è riuscito non solo a portare nomi gloriosi, ma anche a mescolare generi, offrendo fonte di piacere a tutti gli orecchi! Infatti la famigerata giornata ‘Avenged-Judas’, offriva in apertura una band ancor più diversa, lontana dal rockdom classico, lontanissima dalla fama che vantano gli Avenged, ed ancor più lontana dai generi musicali ‘per tutti’ dei festival che non sono intenzionalmente di nicchia o ristretti nell’ambito di un genere musicale: la domenica chiusa da Ozzy, scandita dall’antitesi Judas/Avenged, scolpita dal prog-thrash di Tremonti ha goduto dell’apertura a base di blast beasts e black metal degli svizzeri Amphitrium… davvero, un’autentica sorpresa, considerando il genere estremo della band!
Sabato 16 Giugno:
Shinedown: lontani dalle mie abitudini musicali, mi colpiscono e convincono immediatamente. Dominio dello stage perfetto, comunicazione con il pubblico sublime ed una umiltà artistica senza paragoni (il lead vocalist ha voluto stringere la mano a tutti i fotografi posizionati nel pit photo, tra la marea umana e l’altissimo palcoscenico, in segno di ringraziamento e reciproca stima artistica).
Jonathan Davis: la sua fama marchiata Korn non si mescola minimamente alla sua carriera solista, ma certamente la esalta. Il suo timbro vocale è sempre unico, il suo atteggiamento sul palco appare sempre più eccentrico e passionale. Uno show fantastico! Poi, per chi scrive, sentire per la (mia) prima volta dal vivo quel capolavoro di brano intitolato “Forsaken” (adoro anche il film nel quale è parte della colonna sonora!) ha il valore dell’intero biglietto d’ingresso: esecuzione capolavoro supportata un ottimo violino ed un sensuale contrabbasso!
Helloween: spettacolo unico. Chi si è perso lo show, si è perso un evento di quelli che valgono una vita intera, una vita di fedeltà al metallo (il quale è indubbiamente la legge, come ricordano gli stessi tedeschi!). La band, al totale completo, ovvero con Kiske e Hansen, ha offerto una setlist avvincente, affidando ad ogni cantante le canzoni che gli spettano di diritto… tanto che il mitico Kai ha cantato in sequenza capolavori come “Starlight”, “Ride The Sky”, “Judas” e “Heavy Metal Is The Law”: decenni di metallo compressi in poco più di un’ora di musica d’altissimo livello qualitativo, esecutivo e… scenico!
Iron Maiden: in forma più che mai, con un Bruce capace di volare, i nonni del puro e vero heavy metal si sono esibiti in due ore scenograficamente e musicalmente avvincenti. Sempre innovativi, nel loro classicismo, nonostante l’età ed il tempo che scorre inesorabile, si confermano ancora una volta tra le migliori band dal vivo… un act da vedere almeno una o due volte nella vita! Semplicemente non potete ascoltare heavy metal se non avete visto questa band esibirsi su un palcoscenico di queste dimensioni!
Domenica 17 Giugno:
Amphitrium: un fest non strettamente metal che offre in apertura una band di questo genere, merita un elogio particolare. E la band svizzera -sicuramente abituata a palcoscenici molto più piccoli- non delude, non si perde, non si scoraggia -anzi- (una piccola imprecisione all’inizio di un brano viene ironizzata dal vocalist!) e scatena mezz’ora di furia e rabbia, attivando i neuroni dei già numerosi presenti, preparando per le quattro famose band che avrebbero fatto seguito.
Tremonti: Perfezione tecnica. Sicuramente meno appaganti dal punto di vista visivo, i ragazzi attorno all’axe man degli Alter Bridge offrono uno spettacolo farcito di tecnica, con il loro metal estremo condito di una personalità fusion identificativa e molto convincente. Tremonti è una band che offre ritmiche catchy iniettate da divagazioni tecniche impressionanti: a cavallo tra il metal estremo ed il prog… un genere musicale che dal vivo cattura completamente!
Judas Priest: I Judas sono metallo e cuoio, metallo e moto di grossa cilindrata. Sono una stella nella notte… ed è innegabile che il loro show sia stato penalizzato dall’orario e dal sole puntato in faccia con violenza. Ma sono le regole del gioco di un fest estivo con appuntamento nei paraggi del solstizio d’estate (solo i vari headliners del fest hanno suonato al buio). Set list ridotta, dunque, qualche hit mancante, ormai nessuno dei chitarristi storici, ma Halford & compagni non hanno tralasciato titoli come “Painkiller” o “You’ve Got Another Thing Comin’” ed il mitico Rob non ha rinunciato a portare la sua moto sul palco! Completamente fedeli al metallo, in ogni condizione!
Avenged Sevenfold: Con un set pirotecnico davvero affascinante (il quale aggiungeva calore alla già torrida giornata!), hanno offerto un concerto lungo e coinvolgente. Mai fermi sul palco, sempre connessi con il pubblico, riescono a regalare un concerto accattivante che non è potuto passare inosservato nemmeno ai detrattori: il pubblico li osannava e loro rispondevano con aggressiva potenza. È rock anche questo, diverso da quello del resto della giornata, ma è pur sempre rock. Ai fedeli del metallo più antico, vorrei ricordare che -un tempo- anche loro sono passati per questa strada. Una volta eravate voi i controcorrente, e venivate additati dai fedeli alla tradizione. Ne riparleremo tra qualche anno. Chi vivrà, vedrà.
Ozzy Osbourne: Ozzy con Zakk Wylde. Praticamente l’unico vero Dio con il suo sommo sacerdote. Concerto della durata minore delle aspettative, ma semplicemente glorioso. Set list immortale, band compatta ed uno Zakk Wylde strepitoso che si è esibito anche in un assolo infinito, passeggiando lungo tutta la prima fila del fest (il palco era MOLTO ampio… la prima fila anche!). Ozzy è intramontabile anche se non osa più fare il pazzo che corre in giro per il palco come un tempo: ad un certo punto, dalla mia angolatura, noto che invita con insicurezza uno Zakk scatenato a spostarsi dalla sua posizione centrale… sembrava quasi che Ozzy avesse pensato ‘spostati te che se io esco dai miei confini mi perdo per sempre’. Ma questo è Ozzy. Ironico e assurdo. Surreale ed impossibile. Una leggenda vivente. Uno scherzo deviato della natura! Un altro rocker storico da vedere almeno qualche volta nella vita, per poter raccontare una storia gloriosa ai propri nipoti. Ringraziamo tutti Sharon per tenerlo in qualche modo in vita ed in attività… (meno ringraziamenti al management per non aver autorizzato i fotografi della stampa…): seguendolo dall’alba dei tempi, ormai me lo immagino come una specie di Frankenstein, trasportato in un sarcofago rituale da una venue all’altra, e poi rianimato istanti prima di andare in scena. Che poi è quello che il pubblico vuole! Dopotutto… la vita di Ozzy è nota, i suoi eccessi anche… ma è innegabile che un uomo come quello vive veramente solo quando è sul palco davanti ai suoi fans… il resto del tempo lo impiega ad aspettare il prossimo concerto!
Complimenti agli organizzatori, alla macchina che ha messo in moto tutto questo, a tutti i servizi fino alla città stessa, perfettamente capace di accogliere l’ondata di persone provenienti un po’ da ovunque. Complimenti sinceri perché i due giorni finali sono stati a dir poco gloriosi.
In quasi 24 ore di permanenza all’Ippodromo Visarno, ho visto tanta gente. Gente che si incontrava. Gente che si lasciava. Gente che si incontrava di nuovo. Che si dava appuntamento in mezzo al marasma. Amori. Amicizie ritrovate, antiche amicizie rinate, nuove amicizie nate proprio tra un brano e l’altro… amicizie che l’indomani tendono a svanire, pur rimanendo eterne con tutta la loro fantastica essenza, quell’essenza che rende la passione per il rock una cosa unica, senza confini, senza barriere.
Fuori dall’Ippodromo, passeggiando per la città, si notava l’invasione pacifica del rock. I turisti stranieri e non, quelli che normalmente occupano una città d’arte, quei turisti magari vestiti proprio da turisti stranieri, con i colori abbinati a caso, con capi di marca abbinati a ciabatte da spiaggia, quei turisti che vagano con qualsiasi dispositivo adatto a scattare foto e selfies di pessima qualità, quei turisti inseguiti dai venditori ambulanti…. tutti questi erano stranamente mescolati a gente con magliette nere, magliette che contrastavano il giallo accoppiato al verde o rosa dei turisti, magliette di band rock & metal, magliette che tendenzialmente esibivano immagini dell’headliner di ciascuna giornata.
Nel marasma di passanti impegnati ad osservare il Palazzo Vecchio o il Duomo attraverso lo schermo di uno smartphone, era impossibile non notare quegli inevitabili sguardi di intesa tra coloro che erano a Firenze per un’altra ragione. Tutti per quello stesso motivo. Tutti per quel fest. Una invasione pacifica. Nel nome del Rock!
(Luca Zakk)