(Tsunami Edizioni) Si parte dal natale 1991, anzi no si parte con l’introduzione di Lars Ulrich dei Metallica, il quale ricorda la prima volta che vide Glenn Hughes, con i Deep Purple. Un ricordo non molto diverso dal mio, con la differenza abissale che lui lo vide dal vivo in Danimarca a 11 anni ed io in VHS. Già da bambino Lars Ulrich era qualcuno! Poi è Glenn Hughes a descrivere quel natale e l’eccesso di cocaina che lo ha portato alla soglia della morte. Droga, eccesso, consapevolezza di abusare. Droga e rock ‘n roll. Sarà banale e a me questo binomio importa poco, ma è un legame e storicamente è sempre stato così. Eccessi di un eccesso, Glenn Hughes, perché lui è troppo bravo. Un bassista con una voce soul da mettere paura, uno che sul palco aveva personalità e talento da mettere in ombra chiunque. Il completo in raso bianco, un basso imbracciato con stile e una voce che superava quella di David Coverdale. Incredibile, un animale da palco. Nasce nella provincia inglese, il 21 agosto del 1951, è figlio unico, ma avrebbe sempre voluto avere un fratello o una sorella. Un ragazzo a modo e, si racconta, bellissimo. La passione per la musica, una chitarra di plastica e poi altre più decorose e poi passa al basso. Per farla breve, fonda i Trapeze e con loro si guadagna notorietà, viene notato da Jon Lord e viene invitato ad entrare nei Deep Purple, la band più importante del pianeta. Era il 1973 e Glenn beveva poco, detestava l’erba, aveva una ragazza fissa e Ritchie Blackmore voleva renderlo il Paul McCartney dei Deep Purple, contribuendo ad armonizzare e creare melodie. Ritchie è sempre stato un tipo del cavolo, ma ha sempre avuto occhio e orecchio sui musicisti. Una scelta perfetta perché Glenn Hughes sa suonare il basso, sa cantare, sa prendersi gli spazi e senza che nessuno gli chieda di farlo o gli chieda il contrario. Si intende al volo con David Coverdale, è adorato da Ronnie J. Dio (a Copenaghen, al concerto visto da Ulrich, c’erano di spalla gli Elf di Ronnie). Iommi, Osbourne e John Henry Bonham e non solo. un anno dopo il suo ingresso nei Deep Purple, Hughes dichiara apertamente che ha un grosso problema con la cocaina. Ne ha presa tantissima. Suonava, divorava il palco e durante i solo di Lord o Paice o Blackmore, correva a lato per tirare. Un brutto affare! “La coca è come una possessione demoniaca. Proviene dal diavolo – e io ero posseduto”. Niente rispetto alle tante ragazze che gli si infilavano nei pantaloni. Il resto dovete leggervelo, perché a scrivere è sicuramente stato Joel McIver (la Tsunani ha pubblicato le sue biografie su Slayer, Randy Rhoads, Cliff Burton e altri) ma sotto dettatura in prima persona da parte di Glenn Hughes stesso. Ne viene fuori un racconto che si legge tutto d’un fiato, perché i fatti sono tanti, gli aneddoti si sprecano, i personaggi e musicisti coinvolti sono tutti quelli che si possono immaginare e poi c’è ironia, inglese ovviamente. Tutta la storia di Glenn Hughes, colui che quando venne al mondo i genitori decisero di dargli lo stesso nome di Glenn Miller. Questa è la storia di una vera rockstar!
(Alberto Vitale)