In verità non ho mai seguito gli In Tormentata Quiete. Troppe bands, troppi testi, troppa musica, troppi articoli, troppi concerti.
Ma… per fortuna… ho imboccato il giusto sentiero per la salvezza, ed ho trovato la redenzione.
In occasione della pubblicazione del loro quarto album, “Finestatico” , qui in redazione -specialmente divisione fotografie- riceviamo un invito molto personale. Monica, la nostra fotografa lo riceve:
“Volevo rinnovare l’invito per la serata del release Party del 24.06.17. Se tu e qualcuno della webzine siete interessati a fare un report (fotografie, ma anche scritto se avete la possibilità) della serata noi ne saremmo molto felici.”
Monica non resiste all’occasione di fotografare una (due in questo caso) band su un palco. Ed io… non perdo l’occasione per… ambire alla mia redenzione.
Chi ci invita è Marco, il vocalist growl della band. Una persona infinitamente gentile, umile, discreta… la quale -al nostro arrivo presso l’Alchemica di Bologna- ci accoglie con cortesia, garantendo che tutto fosse allestito per il nostro accesso alla venue. Non conoscendo la band, se non di nome, non potevo davvero immaginare, nemmeno supporre, quale COSA fosse quella persona (e, ci tengo a precisare, ho scritto ‘COSA fosse’ e non ‘CHI fosse’).
È estate. Il clima all’interno del locale è massacrante, ma sicuramente un open air sotto il sole sarebbe stato più intollerante e presumibilmente mortale. Sul palco salgono, come apertura, i Birkenwald, ovvero un band di recente formazione impegnata in un depressive black sanguinoso, non certamente lento e riflessivo… piuttosto nevrotico con ampie ispirazioni post e divagazioni molto tecniche, palesemente avant-garde. I quattro ragazzi sono ancora crudi… serve gavetta per dominare un palco: ma loro si sono formati solo l’anno scorso ed hanno già all’attivo un disco. Manca la gavetta, appunto, manca il palcoscenico… prova artistica e di vita innegabile. Ma la mancanza di esperienza non nasconde una intensità emotiva immensa, una dose di tecnica non trascurabile ed un songwriting che si scosta dai soliti canoni del genere, offrendo una dimensione sonora quasi innovativa, sicuramente attraente.
Se il palco era sufficiente per i Birkenwald, risulta poi stretto per gli In Tormentata Quiete sono numerosi, considerando che vantano tre vocalists (growl, clean e female), una chitarra, una batteria, un basso, una tastiera e pure un clarinetto! Questo quando non ospitano altra gente sul palco, cantante dei Birkenwald compreso. Ma, dal mio punto di vista artistico, più che il palco affollato immagino il lavoro dietro le quinte, in studio, per comporre ed arrangiare un album che comprenda tutti questi elementi, senza nessun filler, senza che durante il concerto ci sia qualcuno di meno evidente o partecipante degli altri.
Gli In Tormentata Quiete, specialmente con il nuovo lavoro, si allontanano completamente da un genere musicale predefinito. Anche perché nelle loro composizioni c’è metal, c’è black, c’è death, c’è prog, che qualsiasi sotto genere sinfonico. Ma prima di tutto c’è una teatralità musicale maestosa, immensa, curata e studiata sotto ogni aspetto per rendere sia su disco che dal vivo.
La band sul palco è compatta, nonostante alcune varianti di line up, ovvero l’ottimo bassista che era un guest, e le due female singer rappresentanti il passato ed il futuro della band, visto che l’evento salutava la partecipazione di Irene dando il benvenuto alla new entry Samantha (anche dei Diabula Rasa).
Spettacolo lungo, sudato, con l’intero nuovo disco proposto ai numerosi fans; poi una seconda parte dello show incentrato su classici di un progetto che sta per compiere i vent’anni di carriera, cosa non sicuramente facile considerato l’ambiente più o meno underground della scena estrema del nostro paese.
Ogni elemento appartiene ad una dimensione musicale elevata: il tastierista non suona, ma partecipa ad un rituale che egli stesso celebra. Il batterista è vivo, dinamico e riesce a gestire con eleganza leggeri problemi tecnici probabilmente dovuti al caldo torrido sicuramente da lui più sofferto dal momento che il suo strumento è sicuramente il più fisico.
Il chitarrista a livello espressivo sembra assente, il suo volto, i suoi sguardi quasi appartenenti ad un altro palco, ad un’altra band… ma musicalmente è una dimensione costante, piena e travolgente, offrendo una dimostrazione di capacità tecnica sconvolgente. La voce clean è tuonante, teatrale, ricca di personalità e potenza… mentre Marco… la gentile persona che ci ha cortesemente invitato -con umiltà- all’evento… è scomparso.
Posso giurare che quell’essere demoniaco sul palco non è uomo, ma è un ammasso di materia travolgente che vaga con le sembianze ed i vestiti di Marco. Ma, sicuramente, quello non è Marco.
Forte dell’esperienza proveniente dagli albori della band, quella è un’entità che non ha più alcun riguardo verso chi gli sta attorno… perché una tale violenza scenica, una tale rabbia nell’aggredire microfono e compagni di palcoscenico, sono cose non umane, non concepibili per i comuni mortali.
E non sto assolutamente parlando di recitazione. Di effetti scenici, di face painting o di qualsiasi altro elemento che ricade nell’ambito dell’ovvio recitare tipico dell’artista sul palco. No. Quella cosa che ho visto era vera e, grazie alla sublime dimensione artistica offerta dai colleghi, è stata la conferma. La mia chiave di volta. Una luce verso l’oscurità. Il percorso verso la redenzione.
…sto ascoltando “Finestatico”. Percepisco i dettagli che un po’ si perdono dal vivo (il clarinetto sul disco è immenso), ma noto l’imponenza di un album che rappresenta un ostacolo insormontabile al solo pensiero di portarlo su un palcoscenico, a causa della complessità degli arrangiamenti, per gli spazi richiesti, per gli equilibri sonori di voci e strumenti.
Ma quel ventiquattro giugno, gli In Tormentata Quiete l’hanno offerto dal vivo. Ai fans. A tutti i presenti. Agli appassionati. Ai giornalisti.
La band imperversava con una potenza devastante, senza sosta, senza pietà.
La gente beveva qualsiasi cosa a bassa temperatura pur di non perdere un solo istante di un concerto fantastico.
Il personale dell’Alchemica che sfidava limiti fisici umani per placare la sete dei presenti.
I musicisti che si alternavano. Intrattenendo. Emozionando.
Una fotografa sfidava l’assenza di aria pur di dar risalto ad una band italiana di indubbio immenso valore.
Ed io? Ho capito. Ho percepito. Ed ho trovato la mia redenzione.
(Luca Zakk)