Ognuno di noi ha un gruppo musicale preferito, fin qui nulla di strano. Ma se si parla di Iron Maiden, le cose cambiano e parecchio. Perché bene o male tutti, pure i profani, li han sentiti nominare almeno una volta. Eppure i sei inglesi non hanno mai sfondato nel senso commerciale del termine, pur vendendo milioni e milioni di
dischi e suonato davanti ad altrettanti spettatori. O meglio hanno sfondato si, ma solo milioni di cuori, uno dei quali appartiene al sottoscritto. Penso che ognuno di noi frequentatori di concerti ha una sua particolare storia d’amore, la mia con gli Iron è particolare perché cominciata il 29 giugno 2000, giorno in cui uscito dall’ultimo giorno del quarto anno di liceo decisi di spendere i miei 29900 lire in Brave new World. Da lì una spirale illuminante che mi portò ad ascoltare non solo tutto di loro, ma anche a sperimentare sottogeneri diversi del Metal. Eppure da allora, ossia ben 2000 e rotti cd in meno, non ho mai vissuto le stesse emozioni ascoltando altri gruppi. Poi, il primo concerto Metal. Decisi che dovevano essere proprio loro e così fu, a Firenze nel 2003, supporto affidato ai Gamma Ray. E lì signori, capii il perché io e gli Iron ci eravamo scelti. Dico solo che restai senza voce per il mese successivo. Ne sono passati di concerti, un paio di centinaia, ma per gli inglesi ho sempre riservato tutta la mia passione. È con questo bagaglio che, unitomi alla divisione veneta di METALHEAD.IT quasi al completo, mi sono avvicinato al mio concerto numero 33 degli Iron Maiden, forti di un trittico di date in Italia di cui una, quella di Milano, in Sold Out. Arriviamo alle 17 in quel di Trieste e non sto a raccontarvi i personaggi visti e conosciuti nel pre-concerto. Quasi uno spettacolo nello spettacolo, visto che amo l’Italia proprio per questo, ossia il suo folklore. Insomma i maideniani italiani hanno un loro perché, vi basti questa come spiegazione. Alle 20 il sole comincia a declinare la sua presenza agli antipodi del palco, nella splendida cornice della storica Piazza Unità d’Italia quando i supporter, i The Raven Age del figlio di Steve Harris cominciano a scaldare gli animi. Avrei preferito un livello più alto dei guest ma pazienza. In fin dei conti è una band piena di giovani mossi da sano entusiasmo. Quindi ci stanno tutti i quaranta minuti di Metal moderno e un po’ ruffiano, suonato con piglio ed energia. Giusto un po’ di respiro e alle 21 in punto, quando la piazza è ormai gremita e illuminata solo dalle luci del palco parte l’inimitabile intro di “Doctor Doctor” degli UFO. E lì sai da fan dei Maiden che per le prossime due ore non capirai più nulla; solo cori, applausi ed emozioni da farti sentire il freddo pure in una notte di mezz’estate. Inizio concerto affidato alle due apripista dell’ultimo album, con Dickinson che impiega qualche minuto per regolarsi con l’ugola. Ogni mio timore sulle sue abilità dopo l’intervento dell’anno scorso son sparite in un attimo nel sentire l’esecuzione di “Children Of The Damned”. Suoni potenti, gente in delirio e loro, sei attempati britannici pronti a regalarci continui rimandi all’ultimo album (sei le canzoni dal disco che dà il titolo al tour) e classiconi come la bellissima “Powerslave” e la mitica “The Trooper” con Dickinson a sventolare la Union Jack a destra e a manca. Poi il concerto si avvia verso la seconda parte, dedicata a cose più datate. “Hallowed Be Thy Name”, l’immortale “Fear Of The Dark” con i cori da stadio a coprire le onde sonore delle casse e la conclusiva “Iron Maiden” formano un trittico incapace di lasciare prigionieri. Il gruppo è in forma come l’ho visto in poche occasioni, il pubblico in visibilio… Poi l’encore, affidato al classico dei classici, “The Number Of The Beast”, alla bellissima “Blood Brothers” e, ironia della sorte, alla mia preferita, “Wasted Years”. 120 minuti di musica che è anche storia. Non mi metto nemmeno a disquisire sulle capacità tecniche dei singoli. D’altronde, se suoni da più di trent’anni mi stupirei se non fossi bravo a suonare. No, qui entra in gioco la peculiarità degli Iron. Perché signori, parliamoci chiaro: questi sono gli Iron Maiden, sei personaggi goliardici e spontanei, con un’innata capacità, ossia quella di mettere le emozioni in note, di creare uno spettacolo da farti venire la pelle d’oca pur utilizzando gonfiabili, tendine a scomparsa per gli sfondi e pupazzi altri tre metri con cui giocare sul palco. A raccontarlo così, uno potrebbe stupirsi del loro successo. E invece chi come me li segue da una vita con quella passione viscerale che solo per loro ho visto, sa come sono i fatti. Lì è la storia a mostrarsi. Perché se si può nel 2016 parlare di Black Metal, Death Metal, Brutal, Thrash, Epic Metal e chi più ne ha più ne metta, non si può non ammettere che tutti questi epiteti ed aggettivi sono a supporto di un unico sostantivo. E il Metal esiste perché gli Iron Maiden esistono.
(Enrico Burzum Pauletto)
Eravamo in 15 0 20 mila. L’intera città era una venue! Essendo la location una bellissima piazza, c’era solo un lungo recinto a delimitare l’area quindi fin dal mattino mandrie di maideniani erano a spasso per una città semplicemente fantastica. Piazza Unità d’Italia, poi, sbocca sul mare: potevi avere il pass per la prima fila, oppure goderti il concerto in ammollo nell’adriatico… cosa che molti hanno potuto veramente fare nel torrido pomeriggio, prima dell’inizio dello show.
Un popolo di meravigliosi pazzi: tutte le età, tutte le origini. Personalmente tra lingue ascoltate e bandiere sventolate ho contato almeno una dozzina di provenienze straniere, la lontana Argentina e la caotica Turchia comprese.
Gente di tutti i tipi. Di tutte le gradazioni alcoliche… (da zero a coma etilico…)
Una festa unica. Ed infatti proprio Bruce, nel suo discorso, si è reso conto di quanti eravamo… si è ricordato che noi, band e pubblico, siamo una cosa unica. Nonostante tutti i casini del mondo odierno. E questo quasi sessantenne si è commosso. È durato un istante, ma quel vecchio metallaro si è veramente commosso.
Qualcuno mi ha chiesto… “perché Bruce si è commosso?”
Beh, non credo si sia commosso per la vista del mare.
Credo si sia commosso perché davanti a lui c’erano 15-20 mila persone, le quali dimostravano che le divisioni, gli odi, i problemi di razze, sessi e religioni sono cazzate di pochi deviati che rovinano il mondo.
E martedì sera non c’era alcun ceto sociale, patrimonio personale, gusto sessuale, colore o credo. C’era la musica. E BASTA. La musica degli Iron Maiden.
(Luca Zakk)
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