Settembre.  Oltre a Novembre, altro mese della morte.
La mia morte è tutto sommato allegra. Verso la fine di questo infame nono mese, mi stavo dilettando a fare quello che faccio quando non annoio voi tutti con i miei scritti: correvo in moto in un autodromo.
Prove, qualifiche, gare… quella roba li. No, non sono un pilota professionista, ma appartengo alle migliaia di appassionati che amano sfidare la morte a velocità folli e inclinazioni disumane.
E cosa c’è di più fico, più estremo, più dannatamente sexy di morire schiantato in sella alla tua moto mentre esprimi il massimo delle tue capacità agonistiche?
E così fu. La fine di settembre ha sentenziato la mia morte. Violenta. Impattante. Maledettamente e subdolamente Heavy Metal.

Un momento?

Cosa ci faccio dunque davanti al Mac a scrivere queste mie memorie se sono, di fatto, deceduto?

C’è qualcosa che non va.
La moto: non era la mia moto. Era una moto in test, una moto che uso per i corsi agli allievi. Non era la mia fedele cavalcatura, la mia fedele creatura infernale con la quale o vivo o muoio. Assieme.

E poi… il casco distrutto. La tuta fresata fino ai buchi. Ed io? Qualche costola rotta, che dopo qualche giorno quasi non fa più male. Dei lividi che hanno un colore, beh, macilento. E la testa… la gran botta in testa? Strani risultati alla TAC, dottori che non capiscono, dottori che mi dimettono per non avermi attorno. Gente che mi ammira, gente che mi contatta.

Non sono forse morto in questo incidente terribile?

O forse ero semplicemente già morto PRIMA di questo incidente sicuramente terribile per i vivi, ma di relativa noia per quelli (noi) già morti?

Allora tra un trauma cranico, uno svenimento, un giramento di testa, un pacco di pillole e qualche deja-vu, scavo come un becchino nella mia memoria putrefatta.

Ricordo qualcosa. Ricordo dei resti di un qualcosa. E prima di perdere il dominio su questo fragile ricordo lo voglio condividere con voi non-cari lettori.

Era Luglio o Agosto. Faceva un caldo stupendo. Un caldo che manda in putrefazione la carne, caldo che io, da vivo, adoravo molto.
In qualche modo degli zombi mi invitano, precisando che si tratta di un invito riservato e super limitato, ad un evento. L’evento ha a che fare con la musica, guardo l’agenda sul telefono, vedo che sono libero, e rispondo “ok, ci vengo”. Cazzo mi frega poi?
Sembra pure che io sia l’unico non pagante, in quanto stampa… oh quali subdole forme concepisce il diavolo per farti cadere nel peccato….
Arriva questo cazzo di giorno. L’appuntamento è presso un cimitero. E’ Sabato 7 Settembre, pochi giorni prima del fatidico Venerdì 13. Il cimitero fa schifo. Non c’è nessuno, tranne alcuni sfigati in attesa di riempire una lista di partecipanti occulti. Assurda lista dei passeggeri di un volo destinato a precipitare.
Mi rompo un po’ il cazzo, faccio una foto…

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…e poi si parte. Si parte verso una destinazione segreta. E, se posso aggiungere, schifosamente lontana. Faccio due conti, se avessi avuto l’indirizzo finale, con il GPS avrei percorso metà strada, evitando il cimitero.
Seguo un’auto. Sono seguito da un’altra. Assurdo panino meccanico dove io faccio la fetta di salame. In tutto siamo una decina scarsa di persone. Un paio di rocker tossici, due ragazze arrapanti con l’anima in vendita al demone più generoso (e dannato), altri personaggi anonimi, io tra questi.
In auto ascolto un paio di CD, ottima occasione per prendermi avanti con delle recensioni…
Cazzo non si arriva più.
Dopo l’ennesimo paese, arriviamo in un paese più brutto degli altri dove c’è la sagra paesana. Vedo il camion con sopra una band di liscio e, cazzo, voglio fermarmi. L’auto guida prosegue. Uffa.  Passa il paese, forse ne passa altri. Inizio a perdere coscienza. Ad un certo punto la strada è deserta, brutta, noiosa. Nel mezzo del nulla l’auto guida mette la freccia a sinistra. Sinistra come l’edificazione che caratterizza quella svolta. Un cross over tra un cantiere abbandonato teatro di violenze immonde ed un maniero infestato da esseri sanguinari e furiosi. E sessualmente arrapati.
Scendiamo dalle macchine in un parcheggio infestato. Di erbacce. Non c’è un cazzo di nessuno tranne noi. La luce è un lontano ricordo di vite consumate.
Dopo un bel po’ di tempo ci guidano su per una scala pericolosa. Sempre al buio.
Inizio ad temere per la mia vita.
Saliamo uno o due piani. Passiamo stanze oscure con pavimenti scricchiolanti, ed entriamo un posto maledettamente cool. Divanetti. Birre. Un salotto deviato per invitati tossicodipendenti nel pieno di un trip psichedelico.

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Della musica intrattiene un po’ la gente la quale, vistosamente inquietata, non comunica con il prossimo. Ognuno sembra rimanere isolato. C’è solo una coppia dove lei appare  essenzialmente in calore, e mentre mi guarda (ero seduto sul divanetto dietro) me la immagino godendo della virilità del suo maschio, il quale sembrava particolarmente felice, ignaro della sua imminente morte.
Vedendomi escluso dall’amplesso, scambio due chiacchiere con il tizio della label. E tra me e me mi chiedo se sia effettivamente ancora vivo. Il suo sorriso è troppo forzato. Quasi assurdo. Ed io ancora ignoro sia egli stato artefice o vittima del gioco infernale…

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…Ad un certo punto sono di nuovo nella mia auto. Da solo. Sto guidando verso casa. E’ tardissimo. La gente si sta alzando per andare a messa prima mentre io, pieno di demoni, sto cercando -sbagliando strada- di tornare da dove vengo. Sento dei dolori. E non sono quelli dell’incidente in moto (che non avevo all’epoca ancora fatto!). Sento strane sensazioni sulla schiena. Pruriti. Formicolii.
Arrivo a casa, la mia famiglia dorme.
Entro nel cesso. Mi denudo, uso il cesso, mi lavo la faccia.
Mi sento dannatamente stanco. Stanco…morto.
Oso guardarmi allo specchio.
Capisco.
E sorrido.
Godo del fatto che emetto luce.
Mi piace come Sono ricucito.
Vanto un make up folgorante.
E sono ovviamente bellissimo.
Sono così bello che la morte vuole essere come me.
E capisco anche che ormai la vita appartiene al mio passato. Capisco che ormai sono immortale. Capisco che nemmeno uno schianto in moto può ferirmi. Nemmeno un’esecuzione con armi da fuoco mi può scalfire. E se mi impiccano, mentre penzolo dal cappio riderò a crepapelle, beffandomi del boia.
E poi ricordo.
Ricordo una notte fuori di testa.
Eravamo in pochi. Pochissimi. Alcune donne abbandonate tra la morte e l’erotismo. Alcuni ragazzi ancora vivi ma presto trapassati.
Una band che si esibisce su un palco e che suona dal vivo un intero album. Un album fighissimo!
Una band dal moniker offensivo, putrefatto, ma semplicemente perfetto: SUPERHORRORFUCK.

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Un evento superbo. La premiere di un album strepitoso, creata con la maestria dei geni della morte, dei non vivi, dei mai morti. Perversione scatenata da menti che esistono in una dimensione al confine di…
Fantastico un concerto così drammaticamente intimo. Dove il sangue sparso non aveva più un nome, dove l’euforia del piccolo locale ricavato dal nulla ha reso il party un’autentica orgia, dove uomini non erano più uomini, donne non erano più donne, corpi non erano più vivi.

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Pura celebrazione della morte. Beffa del destino. Derisione dell’oltretomba.
Una celebrazione scandita da dodici dissacranti liturgie, tutte tratte dalla bibbia satanica intitolata “Death Becomes Us”. Ogni liturgia introdotta dal non-santo reverendo Dr.Freak, capace di vomitare erotiche omelie alle quali nessun essere vivo, o morto, può mai resistere.
Un evento unico.
Una premiere superlativa. Diversa. Bizzarra.
Un modo superbo per farmi salutare la mia schifosissima vita terrena, a favore di una vita non vita dove ogni emozione è grandiosa, dove il sesso è elettrizzante, dove le droghe fanno ridere, e dove il dolore è solo un leggero fastidio, quasi una mosca zombi che crea un noioso prurito.
I Superhorrorfuck sono tornati.
Di fatto, non se ne sono mai andati. O meglio: se ne sono andati, ma non completamente…
La loro putrefatta esistenza riesce ad infliggere a chitarre, bassi, batterie e microfoni una violenza sonora inaudita. Potenza, energia, follia e depravazione.

Il mio io filosofico trae delle somme: il glam metal è morto. I Superhorrorfuck fanno glam metal defunto.
Forse, ma proprio forse, loro sono la reincarnazione di qualche band che infliggeva gig devastanti sulla strip a Los Angeles negli anni ’80.
C’è una cosa della quale sono certo: loro sono zombie. Io pure. Infesteremo le vostre patetiche umane esistenze per sempre. Le vostre, quelle dei vostri figli, quelle dei vostri nipoti.
Saremo noi a scrivere la storia tra 100, 200, 500, 1000 anni.
Per due semplice ragioni: noi siamo già morti, e siamo… bellissimi!

E permettetemi una cosa per concludere. Se quando vi guardate allo specchio non assomigliate a nessuno di questi qui sotto, beh, forse non siete ancora sufficientemente morti… ma sicuramente non siete indubbiamente belli!

(Luca Zakk)

 

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