L’organizzazione del Loggia Nera, festival Black Metal underground ormai giunto alla quarta edizione è tenace. E, cosa essenziale, non guarda in faccia nessuno.
Ci sono delle regole. Le regole le decidono loro. Possono piacere o meno… ma è importante ricordare una premessa, quella più estrema, diretta ed esplicita la quale si può riassumere brevemente con un “se non ti piace, vattene”.
Tale regola si applica a tutto: pubblico, amici, operatori… e pure alle bands che si devono esibire sul palco.
Per una evoluzione dell’applicazione di tale regola, la redazione di METALHEAD.IT è stata l’unico media del settore ammesso, così come la fotocamera della nostra agenzia Monica Furiani Photography… il che significa che per gli altri rimangono solo degli scadenti scatti degli immancabili telefoni cellulari.
Al nostro arrivo al Revolver, locale per noi abituale, tutto sembra diverso. Il cielo ha uno strano colore azzurro, un tramonto mistico… mentre all’interno del locale dominano le tenebre, violentate solo da innumerevoli candele nere, capaci di riflettere una morente luce sull’esposizione delle estreme opere di Kre Fenrir Art.
Nonostante sia ancora presto, c’è già molta gente. Ma la mia sensazione è diversa… non sembra un normale flusso di pubblico ad un concerto, uno delle decine ai quali vado ogni mese. Si respira qualcosa di diverso; per la prima volta mi sento in qualche modo estraneo, staccato… e non solo per il mio ruolo di reporter della serata, ovvero osservatore impassibile e fuori campo. No. C’è un’aura diversa. Strana. Mi fa riflettere per tutta la serata…
Con puntualità clinica iniziano gli spettacoli. L’ordine delle band non era stato divulgato, quindi ogni cambio palco generava una oscura sensazione di desiderio irrequieto, di deviazione umana spinta da una naturale e bestiale curiosità malata.
La serata è divisa in tre atti; ogni atto è l’unico indizio (incompleto) relativo all’ordine di esibizione delle band annunciate in locandina.
Quattro bands nell’atto Opening, due nell’atto Headlining e una nell’atto Aftershow.
Sette bands votate all’estremo, al satanismo esplicito, all’adorazione del male.
Black metal all’ennesima potenza, senza pietà, senza umanità, senza nessuna traccia di alcun dio. E nemmeno l’ipotesi della sua esistenza.
I Canticum Diaboli mi impressionano. Ottima la presenza scenica e l’immagine per offrire al pubblico il loro rituale… si, perché tra riff estremamente catchy, dentro un black metal oltraggioso è palese che la loro musica sia un immenso rituale verso l’occulto. Opener fantastici capaci di instaurare un’atmosfera deviata e blasfema, poi rimasta in essere per tutta la serata. Ed oltre. Molto oltre.
Se nel contesto black, gli opener hanno offerto un barlume di spiritualità, ci pensano i Black Legion a devastare il tutto. Badilate di terra marcia gettate con impeto sopra cadaveri con gli occhi aperti e lo sguardo pieno dell’ultimo orrore prima dell’ultimo respiro. Sostenuti da linee di basso putrefatte, i Black Legion sono la reincarnazione del black primordiale, quello che forse non veniva ancora chiamato ‘black metal’… sound macilento, mi passano per la mente i primissimi Sodom. La loro esibizione è letale: riescono a catturare il rumore della violenza, il fragore del male e convertirli in riff dissacranti, offrendo una presenza scenica meravigliosamente antica, lontana dalle ricercate scelte degli anni moderni. Sudore, borchie, sangue e violenza. Probabilmente la band più old school e sfacciata della serata.
Gli Harkane sono impattanti. Non è assolutamente facile fare del black metal (regola per essere ammessi al bill) evolvendo il suono ad un qualcosa capace di integrare il blackned death (sulla scia di nomi quali i Behemoth), in un contesto in qualche modo doom, tanto da offrire spazio alla componente rituale. Spettacolo assolutamente perfetto, coinvolgente… una band che ha molto da offrire, che cura i dettagli, i quali si esaltano infinitamente nel momento esatto che salgono sul palco.
Von Hexe. Qui le regole diventano complesse. La band ha espressamente richiesto di non essere oggetto di alcuni tipo di reportage, sia esso scritto o fotografico. Tale richiesta mi è stata giustamente imposta dall’organizzazione. Ma anche io ho le mie regole e tali regole hanno la stessa premessa di quelle del Loggia Nera Fest. Quindi se mi viene ordinato di non scrivere (ovvero non dar sfogo alla mia arte) e alla fotografa viene imposto di non fotografare (forzato allontanamento dalla sua forma d’arte), non vedo per quale ragione usare il tempo per osservare l’arte di chi non approva la nostra. Ma è un vero peccato. Potrei dire delle cose interessanti, tutta pubblicità gratuita (nel bene e nel male)… ma accetto che esistano altre forme di vita pensanti che non siano in linea con le mie opinioni.
L’atto Headlining è dominato da Infernal Angels e Ad Noctem Funeriis, con il vocalist di questi ultimi guest sul palco dei primi.
Gli Infernal Angels devastano con un growl estremo e lacerante… il quale sa alternarsi a linee vocali corali, tornando poi al black, al concetto di rituale… quel rituale anticipato dalla scenografia della venue e da quella sensazione che mi ha fatto riflettere (e che continuava a farmi riflettere). La performance degli Infernal Angels è micidiale, tetra, una totale negazione della vita umana e di qualsivoglia pensiero positivo.
Gli Ad Noctem Funeriis sono personaggi navigati. Una band in circolazione da tre lustri: demoniaca dominazione completa del palco, un suono feroce (per certi versi ricordano i Marduk) ricco di groove con insinuanti tracce di folk, componente che esalta ulteriormente l’assalto sonoro proposto.
Il sipario lo chiudono i Catechon, la band i cui componenti sono i fautori di questo fest tinto di nero. Li seguo da qualche anno e posso confermare una costante crescita stilistica la quale li porta a materializzare un black metal feroce ma anche proibitivamente ecclesiastico, meravigliosamente depressivo. L’invito sul palco di ospiti (musicisti delle band che si sono esibite prima di loro), poi, ha creato la scena perfetta per osannare l’evento e chiudere con gloria ed esaltazione.
Come ogni evento, anche il Loggia Nera volge al termine. La gente si disperde. Qualcuno è troppo defunto per arrivare all’uscita. Qualcuno è troppo euforico per solo dirigersi verso la fine della serata.
Io, senza fretta, osservo il flusso in uscita. Osservo i membri delle band occuparsi delle attrezzature o semplicemente parlare davanti ad un drink.
E, finalmente, la mia riflessione converge ad un concetto astratto ma consolidato.
Quella sera non ho visto una vera separazione tra il numeroso pubblico e le bands. Ciascun membro di ogni band era componente del pubblico mentre suonava un altro act del bill. I musicisti dei sette gruppi si godevano con partecipazione lo spettacolo dei colleghi. Turno sul palco, seguito da turno tra il pubblico. Non c’era quel restare rinchiuso nel backstage, con atteggiamento superiore, prima e dopo lo spettacolo. Anzi. Sembrava che pubblico e bands fossero una stessa cosa, la stessa cosa… un teatro osceno dove ad un certo punto ogni attore prende il suo posto in scena e recita il suo ruolo: qualcuno aveva la parte del musicista, qualcun altro la parte del fan. Un meccanismo perverso che ha funzionato alla meraviglia per tutta la lunga serata.
La storia del black descrive cose del genere: quei ghetti privati, quell’emarginazione di solito imposta dalla società. Parlo, per esempio, del famigerato ‘Inner Circle’.
La storia, però, racconta che esistì un ‘Inner Circle’ ancor più ristretto, più privato, più esclusivo.
Si chiamava ‘LLN’. Si chiamava ‘Les Légions Noires’.
Ed io, dopo questa serata, non riesco a togliermi dalla testa questa stupenda ed oscena similitudine con il Loggia Nera. E, lo ammetto, trovo sia una sensazione FANTASTICA!
(Luca Zakk)