L’età avanza, il diluvio universale sconsiglia, ma il richiamo dell’Heavy Metal (con l’H e la M maiuscole) è più forte di tutto il resto: raccolto il mio improbabile gruppo di defenders ciociari, e dopo un viaggio in atmosfera da gita scolastica nonostante la tempesta, raggiungo il Traffic Club di Roma per il MetalForce Festival. E sono contento di vedere che tanti, tantissimi altri hanno risposto alla chiamata: in una serata assolutamente non adatta per muoversi il locale è stracolmo, a testimoniare che il pubblico romano ci crede. Non si lamenta del fatto che non ci siano concerti, e poi quando ci sono non ci va; si alza e presenzia in modo massiccio. È sempre bello vedere i vecchi amici che resistono e qualche faccia nuova: non sono pronto per passare il testimone, ma vedo che comunque ci sarà qualcuno a raccoglierlo…
Aprono il ricco set i RED RIOT, che dall’atteggiamento sul palco, dall’abbigliamento e dallo stile musicale non fanno mistero di rifarsi all’heavy/speed metal americano degli anni ’80… o, come altri direbbe, all’heavy metal rock. Ruggenti e carichi, i nostri sono ben in grado di dialogare con il pubblico ancora sparuto.
Tocca poi agli eroi di casa, i WHISPERZ, capitanati dal carismatico metal hero Flavio Falsone, che è accolto come una star da un applauso del pubblico espressamente a lui dedicato. Il genere è certamente più moderno, ma resta sempre ancorato al metallo classico: grande energia nei cinque pezzi in scaletta (il mio preferito è “Mr. Nothing”), che annoverano anche un inedito, la graffiante “Underdog’s Revenge”.
Molto melodici i Soul of Steel: la mia falange ciociara contesta l’abbigliamento ‘non ortodosso’ dei nostri, che abbandonano borchie e spandex per qualcosa di più sobrio… La band però ha sfoderato un ottimo disco di power melodico come “Rebirth”, e tiene il palco con uno show intenso. Peccato però che manchi qualcuno dietro alle tastiere, che per il sound dei nostri sono fondamentali. “Sailing to my Fate” è certamente la vetta del concerto, che si concentra appunto sulle canzoni dell’ultimo album; ma si fa notare in positivo anche la briosa “Blessing in Disguise”.
Ed ecco quindi i DOMINE: non nascondo che sono qui per loro addirittura più che per i Riot. Per la mia generazione, ‘nata’ alla musica nella seconda metà degli anni ’90, la band di Enrico Paoli è qualcosa di imprescindibile: fra il serio e il faceto, il mio gruppo ha fermato il chitarrista alla fine, per chiedergli quando uscirà il sesto disco che stiamo aspettando da un tempo infinito (ormai quasi 13 anni!). E questi nonnetti dell’epic/power metal hanno ancora grinta da vendere: Morby riesce ancora a esibirsi nei suoi acuti lancinanti, la sezione ritmica è ancora terremotante, e il buon Enrico trascina ancora con la sua chitarra. Fa rabbia che i nostri abbiano dovuto tagliare il loro show (tra l’altro eliminando uno dei miei brani preferiti: “Last of the Dragonlords”) per un ritardo a cascata che alla fine assommerà a un’ora e mezza (!), ma ciò che resta è degno del massimo apprezzamento: non solo perché c’è la gigantesca “The Battle for the great silver Sword”, non solo perché c’è l’epocale “Aquilonia Suite”, ma anche perché i grandi classici (“Defenders”, “Thunderstorm”, una “Dragonlord” che mi è sembrata leggermente accelerata) sono inossidabili al tempo e alle mode.
Ed infine, gli attesissimi RIOT V: una band che è sempre un piacere vedere dal vivo, una delle ultime bandiere dell’us metal come gli eighties comandano. Mi piace sempre considerare come la band sia simpaticamente male assortita: dallo statuario Todd Michael Hall, che come sempre a metà concerto si leva la maglietta, al gigantesco Frank Gilchriest che suda come un dannato dietro le pelli, passando poi per Don Van Stavern (ma beve davvero tutto quel whiskey durante uno show?), il giovane Nick Lee (che non sta fermo un secondo negli spazi relativamente stretti del locale) e la bandiera Mike Flyntz, poco comunicativo ma sempre carismatico. Sì, ovviamente lo show finisce con “Thundersteel”, con Todd (peraltro disponibilissimo con i fan prima del concerto) a svettare su un acuto impossibile, ma in mezzo si alternano molto bene vecchio e nuovo: da “Angel’s Thunder, Devil’s Reign”, che è certamente la cosa migliore che i nostri abbiano concepito negli anni ’10, alla melodica “Flight of the Warrior”, che invece data al 1988; da “Bring the Hammer down”, una canzone istintiva e sanguigna, alle mosse sincronizzate dei tre axemen su “Metal Soldiers”; dalla possente “Storming the Gates of Hell” all’anthemica “Take me back”, ce n’è per tutti i gusti. E al diavolo il fatto che si è fatto tardissimo, e fra poco passa Noè con l’Arca piena di animali… serate di questo tipo vanno onorate fino alla fine.
(René Urkus)