La nascita, le esperienze e lo stile di vita dell’underground death metal
(Tsunami Edizioni) Jason Netherton ha suonato le quattro corde per i Dyng Fetus. L’essersi inerpicato verso linee di basso robuste ed espressive gli garantirà per sempre l’ammirazione del pubblico. Essere autore di “Extremity Retained: Notes From the Death Metal Underground” resterà però qualcosa di altrettanto importante. I Dyng Fetus, i Misery Index, partecipazioni con Aborted, Pig Destroyer, Rotten Sound, per citarne alcune: sono le voci di un curriculum arricchito da questo testo che mostra come un movimento sotterraneo abbia fatto strada, guadagnandosi ovunque milioni di proseliti.
“Profondo Estremo – Storie vere dal death metal underground”, questo il titolo scelto per l’Italia da Tsunami Edizioni, è costituito da 500 pagine nelle quali Netherton racconta le origini del movimento Death Metal, attraverso i tanti protagonisti, le loro storie, le registrazioni e gli album che hanno dato vita e futuro al genere, le vicende on the road; il tutto assemblato attraverso ricordi, aneddoti, confessioni e riflessioni dei tanti amici, colleghi e compagni di avventure di Netherton, il quale ha preso nota e registrato ogni cosa nel corso del tempo.
Jason Netherton lascia percepire al lettore i germogli di ciò che sarebbe poi diventata una cultura, prima ancora che una scena. Negli anni ’80 esisteva qualcosa che forse ancora non sapeva di essere posto in essere. Il death metal di fatto non esisteva, nonostante la presenza di band che poi sono state etichettate come tali o a cui è stata attribuita la nascita del genere stesso (pensate ai Dark Angel e i Possessed). Erano band che si dibattevano su schemi thrash metal, ma più veloci. Band che forse il death già lo suonavano nei propri primordiali demo tape scambiati a mezzo posta con fanzine, appassionati. Band ancora senza un vero batterista che potesse essere adatto a certe soluzioni così spinte. Se lo stesso Kam Lee (Mantas, Death, Massacre) racconta che «dicevamo che la nostra musica era thrash o roba estrema, o qualcosa del genere», capirete come tutto fosse incerto, ma seducente e inevitabilmente destinato a diventare qualcosa di ben definito.
Netherton parla di ragazzi che percorrevano chilometri soltanto per andare a sentire band nella loro sala prove, a volte equipaggiati con qualche birra, e trasformare così un pomeriggio di prove in un casino organizzato! Alcune di quelle band erano già note, altre lo sarebbero diventate e tutto passava per il diffondersi di una fama nascosta, sotterranea. Underground appunto. Il passaparola, le fanzine, le lettere che musicisti e fans si scambiavano in tutto il mondo. Era l’età dei soldi inviati in una busta chiusa a mezzo posta per ricevere in cambio un demo, nelle migliori ipotesi, oppure una copia di esso. Quel demo copiato su una cassetta poi veniva a sua volta duplicato per gli amici. Nasceva un passaparola che portava sulla bocca dei più i nomi di formazioni che all’attivo avevano realizzato un paio di nastri o un 7”. Come pensate io abbia sentito parlare per la prima volta dei Cannibal Corpse, ad esempio?
Le ‘storie vere’ sono queste. Sono quelle di quando i gruppi inserivano annunci nelle bacheche delle riviste metal, delle tantissime fanzine o di qualche pubblicazione locale, per dare un cenno di esistenza al mondo intero e, al contempo, speravano che qualche fanatico del metal, soprattutto di quello estremo, andasse a caccia delle loro registrazioni. Ora, vedete, la differenza sta nel fatto che tutte queste situazioni narrate nel libro vedono protagonisti nomi come Malevolent Creation, Cannibal Corpse, Incantation oppure di chi ne era parte, come Rob Barrett, Terry Butler, Flo Mournier e tanti e tanti ancora!
Storie, dunque. Ognuna ha il suo peso, il suo significato; come è arrivato il primo contratto per etichette di peso (o che poi lo sarebbero diventate, per esempio la Nuclear Blast una volta era sconosciuta ai più) oppure come era la vita di tanti metalheads che vivevano in un paesino o in nazioni dell’ex Blocco Sovietico ad esempio. Leggere che una C90 costava 5 dollari, quando in Cecoslovacchia lo stipendio medio era 100 dollari… beh, capirete che già decidere cosa registrare doveva essere una scelta ben ponderata.
Il capitolo finale, “Where Next To Conquerer? – Riflessioni sul death metal; Tra passato, presente e oltre…” credo sia illuminante per via dei tanti spunti che fornisce. A onor del vero lungo il corso dell’intera lettura del testo si comprendono perfettamente i meccanismi e l’atmosfera di una scena embrionale. Il funzionamento di un’epoca che stava realmente producendo, creando, ‘facendo’ qualcosa. Tuttavia in questo capitolo le riflessioni dei protagonisti sono volte a tirare le somme su quegli anni e a vederli anche in seno a ciò che la scena death metal è oggi. Musicisti come Trevor Strnad dei The Black Dahlia Murder, Phil Fasciana dei Malevolent Creation oppure Rob Barrett e Alex Webster dei Cannibal Corpse, per citarne alcuni, ma anche fanzinari e gente che era nell’underground ed è poi finita nell’industria discografica, come Albert Mudrian di Decibel. Loro rimarcano come una volta per procurarsi l’album di una qualche band emergente, appena uscito o già sul mercato, significava ordinarlo per posta e dunque attendere il suo arrivo per giorni o settimane. Amazon e internet non esistevano. Questo creava un orizzonte di attesa, le aspettative aumentavano e quando il vinile, il CD o la cassetta si potevano finalmente stringere tra le mani, si cominciava a spulciarne foto, testi e crediti. Lo si leggeva per intero, come un libro, e nel frattempo la musica girava, suonava, ti passava attraverso e assorbivi l’album. Una volta dovevi prenderti il tempo per trovare la tua musica, magari facendo chilometri per andare in chissà quale negozio di dischi, e a questo aggiungete poi i costi per il viaggio, il prezzo del supporto fisico e dunque se avevi sedici, diciassette o diciotto anni ed eri uno studente significava investire i propri risparmi: l’acquisto combinato di un “Altar of Madness” e di “Retribution” ti svuotavano le tasche. Poi c’era da ascoltare quel lavoro, prendersi il tempo (ma allora non c’erano tonnellate di file sull’hard disk) e fartelo anche piacere per non restarne deluso. All’epoca però era più difficile fare degli acquisti scadenti: capitava anche questo, ma statisticamente la probabilità era bassa. Quello che si comprava all’epoca è quanto ha permesso oggi di esistere musicalmente. A quei tempi le band suonavano, creavano e mettevano nella musica se stesse.
Ci sarebbe da approfondire ancora i suddetti concetti, ma vi assicuro che Jason Netherton ha brillantemente messo in ordine e prelevato le riflessioni migliori, quelle con l’acume giusto – per esempio quelle di Matt Harvey (Exhumed) e Ula Gehret (consulente legale per le band ed ex Century Media) – quelle degli stessi musicisti e gente della scena che fanno un bilancio su quanto è accaduto tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.
(Alberto Vitale)