Sinceramente non ne capisco un cazzo di locali, associazioni, circoli, tessere. A me basta ci sia un palco dove suona quello che mi piace. Ed un bar con dell’alcol e molta caffeina. Poi questi posti cambiano nome, aprono, chiudono, oggi sono un night, domani una venue (o viceversa). E’ -per me- un casino. Ma in qualche modo, mesi fa, intuisco che i francesi Nocturnal Depression, geni del DSBM, vengono da queste parti. In Italia!
Un momento, mettiamo le idee in chiaro: li adoro, li recensisco regolarmente, vengono nel nostro paese (cosa non ovvia) e pure in un posto logisticamente a me abbastanza vicino.
E’ una goduria.
O un suicidio.
Cerco di capire: il locale si chiama Bloom, ma organizza una certa Venice Metal Events, che vanta, tra l’altro, un logo dannatamente black metal. Tra i promotori, tra gli incaricati scopro che c’è gente che suona, e sono gli opener di questo evento BLACK (maiuscolo) meraviglioso, spudoratamente underground, ma con una qualità ed una organizzazione da manuale.
Io e l’uomo fotocamera -il Burzum- arriviamo ben prima dell’inizio dello spettacolo. Diciamo che abbiamo avuto culo, in quanto il locale viene rifiutato anche dal GPS, che forse è troppo cristiano per accettare di andare ad un evento tanto malvagio. Ma una volta arrivati, la location si rivela un paradiso (inferno?) perfetto: lontano dalla civiltà e dalla luce, lontano da tutto, ubicato in una cascina ristrutturata… offre ampio parcheggio, offre spazi moderni, una sala concerti perfetta con una resa valida… un bar sempre funzionante.
All’ingresso estraggo le tessere di tutti i circoli. Cazzo, una sarà quella buona. Di solito verso metà febbraio di ogni anno le ho già tutte. Ed infatti… entriamo. Più che una venue tipica, dove troneggia il nero, questa sembra una grande taverna rustica, il legno è dominante (burn?) lo spazio è ampio e si nota che si tratta di una struttura adatta a molti usi. Ma a me -e ve l’ho detto- frega ci sia quel maledetto palco, dove presto iniziano gli opener locali, i Catechon.
CATECHON: Ignoravo la loro esistenza. Anzi, se ero vagamente al corrente di una band con questo nome era semplicemente per il fatto che il loro vocalist me l’aveva rivelato quando prendevo contatti per l’accredito stampa. So che fanno del black. Anzi, non lo so, ma lo intuisco dal face painting perfetto e rituale. Puro tributo alla Norvegia anni ’90.
Non ho idea di quanto sia durata la loro performance. Considerando che alle spalle hanno solo un demo (“Il Richiamo di Orfeo”) hanno violentato il pubblico con uno spettacolo lungo. Lungo a sufficienza per far si che io e Burzum, collocati ai lati opposti del palco, ci scambiassimo quelle comunicative occhiate, quelle di chi condivide passioni (plurale) e che macina chilometri ad ogni ora della notte per il metallo. Occhiate che erano comunque chiare e decodificabili da chiunque: “Cazzo che figata!”.
Sarà la teatralità. Sarà l’irriverente pessimismo dimostrato sul palco. Forse quel minimo di scenografia ancora acerba ma dannatamente pura. Potranno essere state le lyrics brutalmente eretiche, anche in chiarissimo italiano. O forse quell’atteggiamento iper-incazzato che forse maschera un ovvio limite di esperienza, ma che accentua il sublime concetto dell’underground. Resta il fatto che sono rimasto sorpreso. Siamo rimasti sorpresi! Burzum stesso mi ha chiesto una conferma: “Ma hanno SOLO un demo alle spalle?”. Cazzo si. Black privo di infezioni, virus, deturpazioni commerciali o di carriera. Black selvaggio. Bestemmie cantate. Odio espresso. Antipatia verso la vita. Black. Punto.
COMMON GRAVE: Altra band che ignoravo (ce ne sono troppe!). Che poi, diciamocelo, io manco ricordo come mi chiamo e devo leggere la mia firma qui sotto per sapere se l’articolo l’ho scritto proprio io. Quindi altro moniker, altra band. Immagino facciano un black, visto chi precedeva e chi seguiva… invece mi trovo immerso in un fantastico post metal estremo, dilaniante, graffiante, velenoso. I cinque elementi sul palco sono mitici! Un drummer carismatico e letteralmente fuori di testa. Un chitarrista apparentemente fatto, fatto come la sua musica, il quale sembra non compatibile con lo stile, l’immagine, la posizione, lo sguardo, l’atteggiamento del resto della band. L’altro chitarrista estremo, violento. Un bassista (bravissimo) con un look dark pop electronic meravigliosamente assurdo (visto il tema della serata). Ed un cantante senza volto. Letteralmente. Sfoderano un concerto-mazzata. Totalmente letale, brutale. Perfetto.
La cosa bella di questi posti è la mancanza di una vera divisione tra bands e pubblico. Non c’è un vero backstage, solo un fragile divisorio, delimitato un po’ dal banchetto del merch. E pure i sound check delle bands sono fatti così alla buona, gridando al tizio del mixer di cambiare questa o quella impostazione… con il pubblico che non capisce se si tratta di una prova o … se è iniziato il concerto. Trovo che questa cosa sia meravigliosa e in questo locale, che sembra una casa occupata, l’effetto “tutto in famiglia” è esaltante.
HELEGION: sono i francesi Helegion i supporter dei Nocturnal Depression. Con un piccolo insignificate dettaglio. Il bassista degli Helegion è anche quello dei Nocturnal Depression. Mentre il batterista, altri non è che Lord Lokhraed, il front man dei Nocturnal Depression stessi.
Nonostante mezza band avesse quindi dovuto fare DUE concerti, il black rituale degli Helegion è stato intenso. Certo, non originale come le due band precedenti, piuttosto molto norvegese (nonostante la provenienza francese), diretto, reso spirituale dall’impostazione dei musicisti, dalle candele, dal fatto che Lord Lokhraed rende sempre tutto più grandioso.
Penso davvero che Lord Lokhraed sia un esempio per tutti. Una persona con una simile malformazione (che sicuramente non gli ha reso facile la vita, fin dall’infanzia) che si impegna a fare quello che fa questo personaggio (nei Nocturnal Depression suona la chitarra… con uno stile che è da ammirare in sede live) si avvicina ad un concetto che definirei eroico. La forza interiore che Lord Lokhraed deve avere -e che dimostra- è palesemente contro tutto e tutti, è un qualcosa che emana una energia che si può percepire standogli vicino, sentendolo parlare, suonare. Cantare.
NOCTURNAL DEPRESSION: Leggenda. Una band con un sound unico: i loro arpeggi tristi e decadenti, quell’Hi-hat dal suono e cadenza unici, la voce di Lord Lokhraed; ci sono momenti durante il concerto che mi lascio andare, chiudo gli occhi abbandonando la mente in un vagare nel nulla devastante descritto dalla musica e dai testi. La potenza del growl di Lord Lokhraed è poderosa: senza dubbio un vero talento. La sua presenza scenica, il carisma, la rabbia, l’atteggiamento di abbandono dentro i labirinti della sua arte, sono cose uniche. La chitarra solista è stupenda, l’axe man dipinge di nero le oscure atmosfere della band mentre un poderoso drummer riesce a seguire tutti gli sballi mentali di uno scultore di sofferenza come Lord Lokhraed.
Dopo alcuni pezzi, il front man dichiara, in perfetto Italiano: “Ora andiamo ancora più in basso”.
Giù. Fino in fondo. Il fondo. Una spirale di pessimismo e mancanza di speranza, un tunnel viscido che porta diretto ad un suicidio scandito da masterpieces quali “L’Isolement” o “Dead Children”, ed ancora “Host (Autumn)”, “They” o la stupenda “Méditation Grisâtre” tratta dal nuovo imminente ed attesissimo “Spleen Black Metal”.
Esecuzione perfetta, sound perfetto, presenza scenica impeccabile. Alcuni fans un po’ troppo invasivi e una corda rotta per il chitarrista solista (cambiata al buio, con la luce proveniente da un cellulare -il mio-, senza interruzione dello spettacolo) non hanno influenzato la qualità suprema dello spettacolo di questa band leggendaria che ormai ha passato il decennio di attività, celebrando la morte con ormai sei full length ed un numero vasto di singoli e splits.
Più che il divertimento dell’assistere ad un concerto, è stato un onore essere presente alla serata. Più che uno spettacolo è stato un rituale condiviso e inneggiato da tutti i numerosi presenti.
Black metal putrido e profondo. Odio nei confronti di divinità, regole e sistemi. Odio verso la vita stessa.
Il tutto in un ambiente spudoratamente underground. Oscuro. Letale.
Fantastico.
(testo: Luca Zakk)
(foto: Enrico “Burzum” Pauletto)