Quelle torri malefiche. Quasi un residuato di guerre fratricide fuoriuscite dai peggiori incubi scatenati da un Mad Max deviato e ulteriormente decadente.
Il cielo di Padova, con un tramonto roseo e ricco di speranze, violentato ed inquinato dal fumo nero delle ciminiere dell’armata teutonica.
La notte pacificamente estiva che viene sferzata da un sound apocalittico, con l’esibizione di quei drappi rossi verticali, una oscura ironia che porta alla reminiscenza di un passato letale.
Un sound travolgente.
Quel malato di Christian ‘Flake’ Lorenz che cammina all’infinito, verso il suo infinito… prima di andare a fuoco.
Un Till Lindemann decadente, tuonante, marziale, assurdamente oscuro.
La batteria di Christoph “Doom” Schneider pesante come non mai, accompagnata da un bassista -Oliver Riedel- maschio ed irriverente, mentre le chitarre di Richard Kruspe e Paul Landers cavalcano dentro quella Neue Deutsche Härte, un genere musicale che -alla fine dei conti- è ormai universalmente il sound dei Rammstein, un metal industriale, tetro e incalzante.
Un palcoscenico mostruoso, vasto, tirannico… con effetti pirotecnici micidiali… con esplosioni letali, fiamme infernali e fumi tossici… prendendo in giro tutti, strizzando l’occhio alle infinite accuse che -negli anni- altro non hanno fatto che alimentare l’ego e potenza scenica di questa band colossale.
Geniale opulenza. Destabilizzante immensità artistica, tanto complessa quanto evidentemente frubile da un pubblico infinitamente vasto.
Mi sorprende pensare che i Rammstein siano in giro da trent’anni, tanto tempo è passato da quando comprai “Herzeleid” e poi “Sehnsucht”; mi sorprende vedere che la maggior parte del pubblico non aveva nulla a che fare con la scena metal, ovvero in qualche modo la scena principale di questa band. Ma il brand Rammstein è ormai oggetto di fama, di culto, è una possente influenza mediatica: ragazzi e ragazze, nonni tatuati con maglietta in tema, imprenditori di mezza età palesemente lontani dal mondo dei concerti negli stadi… tra l’altro abbigliati in modo totalmente fuori luogo, come se stessero facendo la passeggiata lungomare durante le consuete e noiose ferie d’agosto in famiglia. Gente in costume, gente strana. Un tizio vestito con un costume di una cazzo di Biancaneve tossica, ragazze con costumi tradizionali bavaresi in chiave punk.
I brani si susseguono. Hit dopo hit. Parentesi al piano e divagazioni sceniche.
Nel frattempo uno stormo di fans femminili mostra il seno ad un pubblico esaltante, cosa che fa ridere se pensiamo alle recenti accuse nei confronti di Lindemann: hey, negli anni ’80 ti beccavi una denuncia se ad un festino NON facevi tutte quelle porcherie! Cazzo, sarebbe un festino rock… non l’ora di preghiera di un cazzo di convento di clausura! Quanta decadenza in questo mondo moderno!
Ma loro ci sono. Più potenti e teatrali che mai. Irriverenti all’ennesima potenza. Il crowd surfing elevato a crowd sailing. La pausa degli encore imprevedibilmente silenziosa… quasi un preludio alla devastazione successiva.
Il tutto in una organizzazione perfetta: accessi ampi, parcheggi ovunque alimentati dalla tipica intraprendenza veneta, capace di annusare il business di 44,000 partecipanti: io stesso ho parcheggiato GRATIS in una stazione di servizio vicinissima allo stadio, con un fornito bar aperto fino a notte inoltrata. Praticamente l’esatto contrario del recente evento Def Leppard/Mötley Crüe a Milano.
Numeri? Ok, parliamo di numeri. Quanto costavano i biglietti? Un centone? Stima molto in difetto, totalmente sobria, per un semplice parterre… senza contare le tribune strapiene, i vari circle, pit e vip. Escludendo il merch ufficiale, basandoci su questa stima povera, stiamo parlando di un giro d’affari di quattro milioni e mezzo di euro… probabilmente più vicino ai cinque o quasi sei. Cifra alla quale va sommato l’indotto (cibo e bevande) nei paraggi dello stadio, più l’indotto esterno: dai bar alle pizzerie, dagli hotel ai ristoranti, fino ai treni, ai voli, alle autostrade.
E tutto questo per mano di sei tizi di mezza età, sei individui che da trent’anni cantano di odio, di violenza, di perversione, di cannibalismo, di sesso malato e deviato, del lato tanto oscuro quanto affascinante rappresentato dalla decadenza della mente umana.
Sei tizi che cantano canzoni con testi complessi, in una lingua tutt’altro che facile o diffusa, totalmente incomprensibile per la maggior parte del pubblico.
E hanno fatto il pienone.
FOTTTUTI GENI.
(Luca Zakk)
PS: Se non c’eravate, non posso certamente spiegarvelo, ma, hey: CONCERTO TOTALE!