“PAN-DEMONIUM RISES” era il nome dell’evento di questa serata. Ma quando c’è dello svaccatissimo glam/hard si alza un po’ di tutto… dall’umore agli ovvi doppi sensi sessuali, dal gomito a qualsiasi additivo per la psiche. Dal volume alla stessa soglia tra spettacolo e casino furioso.
Ma andiamo con ordine. Il 29 Maggio al WIP di Padova si è tenuta una tranquilla serata leggermente non-convenzionale. Diciamo che di normale non aveva un cazzo di nulla. Fuoco e fiamme (letteralmente) si incrociavano con acrobazie votate al suicidio, chitarre estreme ingravidavano colori sgargianti, chiome cotonate morivano sotto la tortura del sudore. Tra giocolieri monoruota e dolcissime fanciulle sputa fuoco (touch, but handle with care…), sul palco è successo un vero cataclisma: Tre bands hard-sleaze-street and glam si sono esibite in tre fantastici show con adrenalina e volumi a 1000. Un commando composto da 14 hard rockers purissimi (puri nello spirito, ma carnalmente inverecondi) hanno letteralmente torturato il palco del Work In Progress, infliggendo anatemi a base di ritmi pulsanti, rossetti votati alla prostituzione, colori devianti verso la saturazione ed un dinamismo esibizionista misurabile sulla scala Mercalli-Cancani-Sieberg. Livello oscillante tra X e XII.
Iniziano gli SPEED STROKE. Ignoro chi cazzo siano. Quante volte avrò scritto qualcosa come “Mica posso conoscere tutti”? Li guardo e sono brutti e sporchi. Strafottenti e cattivi. Siamo sullo street-side dell’hard rock, un po’ guns, un po’ skid… ed io mi ritrovo con una birra in mano pensando “cazzo c’entrano questi con quei bellissimi pervertiti effeminati che avrebbero seguito?”.
Decido che fanno schifo.
Ma la mia precoce decisione viene travolta, stuprata, invertita circa 66,6 secondi dopo l’inizio del concerto. La mia birra si è evoluta in un liquore di quelli forti, con ghiaccio, linfa vitale che scorre nelle vene del rock.
Cinque animali da riproduzione vomitano addosso al pubblico pezzi travolgenti, ritmiche da infarto con quel maledetto cantante che rappresenta l’incubo dei fotografi. Un cantante che canta. Che parla. Che grida. Che urla. Che nasce. Che muore. Che rinasce. Poi muore di nuovo per tornare più indemoniato che mai 6,66 decimi di secondo dopo. E lui manda tutti affanculo. Invita alla depravazione. Sputa. Salta. Si scopa il palco ed i bandsmates. Decolla. Vola. Atterra. Si teletrasporta. Se ne va. Torna. Uno show che è un tripudio di effetti della cocaina mescolati a lascivo sudore. Superbi. Perversi. Maledetti.
Quel che rimane del palcoscenico viene preso in gestione dal lato putrefatto della (non) vita. SUPERHORRORFUCK. Super, senza dubbio. Horror, e pure eroticamente splatter. Fuck: ma solo su talami di freddo marmo in desolati cimiteri di periferia. I cinque morti super sexy devono essere leggermente incazzati con una morte che li rifiuta ed una vita che li ripudia visto e considerato che il loro rock mortale risulta maledettamente appesantito, molto più ruvido, alle porte del punk (is not dead), oltre quelle dell’heavy. In costante mancanza di equilibrio tra aldilà e backstage, in perenne pericolante bilico tra (poco) sacro e (tanto) profano, indecisi fino alla morte tra un elegante vampirismo ed una languida necrofagia, i cinque zombetti omo-etero-multi-anyone-sessuali pregano e ringraziano Gesù, il sesso, il pubblico (femminile) e qualsiasi forma di erotismo occulto. Questa era una delle ultimissime date del loro trapassato tour. Appena in tempo visto l’arrivo della calura estiva, incompatibile con le loro carni avariate coperte da pesantissimo make-up, non adatta al loro metabolismo post mortem. Così loro, in un trionfo demoniaco, tornano nei loro sarcofagi, nelle loro coloratissime tombe, nei loro obitori on ice. Moriranno un’altra volta.
Fino al prossimo autunno.
E questa consideratela una profezia. Segnatevelo sul calendario. Nel frattempo pregate per bene il vostro inutile dio.
Povero palco. Difficilmente una struttura costruita dall’uomo può resistere a cotanto massacro. Ma nonostante tutto stia per essere inghiottito da un enorme buco nero apertosi al suolo, illuminato dalle fiamme delle pericolosissime mangia fuoco (dell’inferno?)… qualcosa sembra succedere. Il palco torna in vita: tra gli assurdi intrugli di pop-corn e whiskey, con il sudore degli Speed Stroke ormai mescolato ai pezzi di carne dei Superhorrorfuck, salgono sul palco quattro animali… o meglio altre quattro zoccole che si contendono il marciapiede con le super-horror-sgualdrine. RECKLESS! Non c’avevano un cazzo da fare quella sera, ed ecco la decisione di venire al WIP per elargire una dose letale di glam metal, dissacrando con rituali scostumati, osceni, licenziosi e libertini il santissimo battesimo del neonato: il loro nuovo disco “Too Glam To Die”!
Non c’è modo migliore di presentare un disco con un concerto. Punto.
Il disco può passare inosservato. Può essere suonato a bassi volumi in appartamenti con vicini rompicoglioni. Magari la gente ascolta solo alcune canzoni. Molti senza guardare il booklet.
Ma quando il disco ti viene sostanzialmente sbattuto in faccia, cacciato in gola, fracassato in testa, allora è un tantino impossibile non rendersi conto del fantastico tributo ad una era mitica del genere umano: gli anni ’80!
A.T.Rooster e devastati compagni sono un qualcosa che non appartiene più al tempo, alle epoche, alle mode. Sono loro stessi la definizione di tempo, epoche e mode. Controllano gli eventi, iniettano glam ovunque, riportano in vita una gloria very dirty, esaltando la depravazione e quell’ambiguità spirituale e sessuale che rese grandissime le bands hard & glam dal 1980 fino all’arrivo del virus mortale che sterminò l’umanità: il Grunge.
Ma come l’evoluzione ci insegna, la morte è solo un nuovo inizio. L’occasione di un ritorno. La chance di una nuova esistenza di livello superiore. Un livello più forte.
E forse i Reckless non esistono proprio, o vengono da un futuro tutto fucsia e cotonato. Oppure furono sepolti nel 1989 per essere riesumati e rianimati in questi nostri anni bui. (ed io ringrazio chiunque abbia avuto questa geniale idea!)
Forse i 14 musicisti che ho visto proprio non esistono. Mai esistiti. Magari sono solo nei miei sogni, nei miei deliziosissimi incubi. Forse non sono nemmeno tre bands, e sono tutto un decadente e grottesco spettacolo teatrale multi cromatico e spinto ai limiti.
Forse sono un’allucinazione. L’effetto di una favolosa droga, della quale non ricordo il nome.
Ma conta qualcosa? Dopo quella serata sento ancora i globuli rossi confusi relativamente alla loro sanguigna rossa sessualità. Guardo il mondo vestito normalmente, mosso da regole normali, incapace di sognare ad occhi chiusi, incompatibile con i sogni ad occhi aperti e rido senza motivo. E nella mia oscurità provo un chimico senso di felicità.
Siano questi rockers veri o falsi, vivi o morti, illusione o realtà il risultato non cambia ed è quello voluto: RAGGIUNGERE LO SBALLO TOTALE.
Che poi tutto questo sia nell’aria che respiro o nella deviazione della mia mente, sinceramente, non me ne può fregare un cazzo di meno.
Questo è l’eccesso, questo è il rock.
Ed il resto? Immagini ante mortem di una umanità defunta, incapace di godere a livelli fuori controllo.
(Luca Zakk)