(Netflix) Il libro. Poi il film. Una cosa nota, normale, quasi ovvia. Un grande libro che poi diventa qualcosa di televisivo o cinematografico. Ma qui siamo ad un livello diverso. Questa è una storia vera. La storia di una guerra che si è combattuta negli anni ’80 a Los Angeles, una guerra che vide protagonisti i quattro Crüe, una guerra senza regole, con vincitori e vinti, una guerra che loro hanno combattuto contro tutti… ma principalmente contro …se stessi.
La trasposizione cinematografica del libro “The Dirt” (prima edizione nel 2001) è complessa e contorta.
Intanto gli autori hanno avuto l’ingrato compito di compattare in circa due ore di pellicola una quantità mostruosa di eventi, ovvero le avventure e le disavventure di ogni dannata notte nella vita della band durante un ventennio, sacrificando molte cose, evidenziandone molte altre. Ma si tratta di un male necessario prima di tutto per il format da rispettare (un film di quattro o cinque ore non avrebbe avuto mercato), ma principalmente per portare davanti a tutti gli spettatori una storia devastata che -finora- era ben nota solo agli appassionati.
Non stiamo parlando dei Queen (e relativo recente film), ma dei Mötley Crüe. Stiamo parlando la band perversa, la band dedita al male, alla distruzione ed all’autodistruzione, una band devota al sesso selvaggio, all’abuso estremo, una band che nei testi canta con dannata ironia delle vite oltre ogni limite che i membri della band stessa hanno vissuto. Se i Queen sono stati una band rock capace di arrivare anche ad un pubblico non strettamente rock, tanto che i loro brani più famosi sono noti anche a mamma… i Crüe rappresentavano tutto ciò che la suddetta mamma NON voleva per i propri figli.
Ma oggi questa storia depravata e dannata è riuscita ad arrivare su Netflix, davanti a tutti, per tutti (ok, è VM18… ma….) quindi gli autori hanno dovuto assolutamente sintetizzare, senza esagerare e senza perdere il filo di un discorso contorto che va ben oltre i fatti raccontati nel film, fatti comunque ampiamente descritti -con cruenti dettagli- nel fantastico libro biografico.
Il film offre un cast di attori riconoscibili: ogni personaggio, prima di essere presentato, è velocemente identificabile con quello reale (e non parlo solo della band, ma anche di personaggi quali Tom Zutaut o Doc McGhee). Notevole l’aspetto dei costumi e del look della band, dettagli che seguono abbastanza accuratamente la storia dell’immagine della band, compresi i tatuaggi (che vanno aumentando di numero man mano che il film procede) o i tagli di capelli/barba dei protagonisti (ad esempio il pizzetto di Nikki).
Il racconto ha delle piccole imprecisioni, o adattamenti che non cambiano la resa del film, ma che si discostano dalla storia vera raccontata nel libro. Tra questi l’incontro tra Nikki e Tommy, come Zutaut li scritturò ed i consigli in tema management/label da parte di David Lee Roth, il processo e le persone coinvolte nella riconquista dei diritti discografici, le reunion con Neil… fino all’automobile guidata da Neil stesso quella tragica notte dell’incidente nel quale morì Razzle, il batterista degli Hanoi Rocks (nel film sembra una Pontiac Firebird, mentre in realtà fu una De Tomaso/Ford Pantera, modello ben specificato nel libro da Vince stesso il quale è un noto appassionato di motori. Solo il colore della vettura sembra simile).
Poi ci sono dei tagli più o meno necessari: l’attività di John Corabi (forse l’unico attore che non somiglia al personaggio vero) con il relativo licenziamento in tronco dopo l’album omonimo, l’epoca “Generation Swine”, la fuoriuscita di Tommy Lee dalla band, sostituito da Randy Castillo, ma anche ulteriori incroci con altre band o artisti, come Lita Ford.
Le scene drammatiche sono incisive (ad esempio la morte della figlia di Vince), in perfetta linea con l’efficenza che deve avere un film su un pubblico vasto ed eterogeneo, esattamente come lo sono anche le scene assurde e divertenti, come la famosa sniffata di formiche e leccata di piscio da parte di Ozzy Osbourne durante il tour con i Mötley
C’è tuttavia un rispetto dell’impostazione del libro il quale espone ogni capitolo in prima persona, con i racconti dei vari personaggi coinvolti, cosa che nel film appare come una serie di momenti dove l’attore sulla scena smette di recitare la parte e parla direttamente allo spettatore, creando una interessante forma narrativa.
Il film diretto da Jeff Tremaine (l’autore della serie TV “Jackass”) riesce a portare davanti a tutti la storia dei Mötley Crüe in maniera duale: chi non conosce la band si trova davanti ad un film che racconta una fetta di storia della musica degli anni ’80 con tutti gli eccessi che la caratterizzarono, mentre chi conosce la band si trova davanti a due ore divertenti, drammatiche, un revival intenso e sicuramente molto meno impegnativo della lettura del libro.
Poi, in verità, c’è un’altra variante di come il film presenta la storia. Si tratta della variante percepita da quelli come me, quelli come voi, coloro che hanno adorato ed adorano la band, coloro che hanno un’età tale da poter definire quegli anni come tarda infanzia o gioventù, coloro che provano sentimenti di nostalgia per quel decennio fuori di testa probabilmente irripetibile, coloro che hanno divorato con avidità anche il libro. Questo particolare pubblico guarderà il film divertendosi, anticipando le scene, attendendo la comparsa di un personaggio o di un altro, cercando conferme, evidenziando le inesattezze, confrontando i fatti, cantando le canzoni della soundtrack (recensione qui).
Godendosi due ore di revival storico eccezionale!
(Luca Zakk)