Ulver. Un nome leggendario.
Ulver. Black Metal?
O forse Dark? Elettronica? Prog? Avant-garde?
Ulver: Fedeli a qualcosa? Rinnegati e traditori di qualcos’altro?
Durante la vita, dal nostro punto di vista interiore, ci sembra di non cambiare mai, di essere sempre gli stessi. Fino allo spietato confronto con il prossimo il quale evidenza i nostri cambiamenti, le nostre nuove negatività, le nostre nuove caratteristiche antipatiche, i nostri noiosi eccessi depressivi.
Ma siamo veramente cambiati? Siamo cambiati NOI? O è cambiato il punto di vista del prossimo?
O forse sono successe entrambe le cose?
Ci sono cambiamenti tra due entità, due punti di vista, due versanti, che portano a scissioni in quanto le differenze si intensificano, le distanze si allargano fino all’autodistruzione. Fino all’odio.
E poi ci sono quei cambiamenti paralleli, concettualmente compatibili, lineari ed equilibrati, nei quali le due entità evolvono lungo un binario che li mantiene equidistanti, un po’ come chi c’era sul palco quella sera e la maggior parte della gente che assisteva ad un qualcosa che è vicino all’ipotesi concreta di rituale.
Labirinto della Masone. Provincia di Parma. Località suggestiva. Magica.
L’accesso ad un portale. Attraverso un portale.
Centinaia di fans. Una ampia percentuale di personaggi appartenenti al mondo Black Metal…
Ma non era il mondo al quale gli Ulver non appartengono più?
…Anche moltissimi personaggi trasversali, di varie filosofie metal, di origini lontane dal metal… in totale contrasto con la sudicia purezza del Black Metal.
Siamo cambiati? È cambiato il punto di vista del prossimo? O sono cambiate le regole del gioco? O forse non è cambiato proprio nulla?
Intanto si accede al centro del labirinto, passando per il labirinto stesso. Percorso guidato, passo spedito, ma comunque almeno quindici minuti di percorso, al buio, con pochi lumini… ed uno strano silenzio… la processione verso il centro della struttura è silenziosa… ben lontana dal rumore di voci tipico di un concerto.
Quale struttura immensa! Contorta. C’è tantissima perversione in un labirinto.
L’architetto che lo disegnò, Franco Maria Ricci, scelse di ispirarsi all’architettura del labirinto romano, con angoli retti e suddivisa in quartieri, in una nuova concezione introducendo varie piccole trappole: bivi e vicoli ciechi, che nei labirinti romani, rigorosamente univiari, non erano presenti.
Ed è un labirinto di ispirazione romana, ma avant-garde che conduce davanti a questi geni norvegesi che tributano proprio l’oscurità del grande impero con “The Assassination of Julius Caesar”, album praticamente suonato per intero durante il lunghissimo concerto, un concerto catartico, superbo, magico, ipnotico. Una esperienza ‘transensoriale’ di pura trance.
Ossessivi, ma sensuali, i beat degli Ulver, anticipati dalle deviazioni mentali di Stian Westerhus… con un “cambio palco” che è stata una fusione di talenti, una fusione di energia e suoni, con una soluzione di continuità esaltante, in pieno crescendo, esplosiva e avvolgente.
Laser. Luci deviate. Piattaforme di luce che sovrastano distese di corpi. Luci che disegnano idee. Concetti. Parole. Condanne. Disperazioni e fine assoluta.
I sei sul palco appartengono ad altre dimensioni, tra l’altro individuali. Sei elementi completamente soli, isolati tra loro… ma in uno stato di completa fusione spirituale scandita da una costante divagazione, una infinita jam session dove le superbe canzoni dell’album diventano la rampa di lancio per viaggi digitali, materiali, divagazioni elettroniche, affermazioni carnali, suoni fisici, quasi erotici.
Kristoffer Rygg è riservato. Quasi assente… o meglio molto presente nella sua dimensione, nel suo spazio auto-costruito nel quale nascono le sue canzoni. Impeccabile nel senso umano del termine, nel senso naturale del termine, quel senso nel quale la perfezione non esiste, non può esistere in quanto esige le macchie, gli strappi… regalando unicità assoluta ad ogni esperienza, ad ogni incontro, ad ogni evento, ad ogni concerto.
Una unicità poi amplificata in maniera inverosimile da una location che definirei spirituale. Perché è con immensa ed infinta spiritualità che Franco Maria Ricci progettò e costruì questo dedalo, un dedalo che è un tributo alla natura, alla cultura, all’essenza di ciò che ci circonda ed è più in sintonia con l’essere inteso come individuo legato alle sue origini.
C’è chi giura questa sia una delle definizioni del Black Metal. E degli Ulver?
Franco Maria Ricci, poi, costruì questa opera per una promessa fatta allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, quest’ultimo ossessionato dai labirinti intesi metafora della condizione umana. Un legame umano inscindibile. Una promessa. Un giuramento per una ossessione.
E sono innumerevoli le ossessioni che potete trovare nel mondo del Black Metal. Compresa l’ossessione del sound degli Ulver?
Ci sono labirinti con mostri. E giardini dell’Eden. Ci sono inferni. E paradisi. Ci sono labirinti psichici dai quali non si può uscire. Nei quali si muore, entrando nel circolo vizioso dell’eternità.
Ci sono poi labirinti orribili e contorti, labirinti del terrore, della paura… dove solo la determinazione umana con l’aiuto di una forza superiore può portare verso l’uscita, per ritrovare la felicità, per gioire dei piaceri dell’Eden. Piaceri divini. Ma anche piaceri perversi. Piaceri puri. Piaceri lussuriosi. Piaceri che come colonna sonora esigono gli Ulver.
Un labirinto fatto di bambù. Ce ne sono più di 200.000 nel parco, un paio di decine di specie diverse. Il bambù è una pianta fantastica: non si ammala, non ha foglie caduche, assorbe anidride carbonica con avidità. È una pianta forte ed il suo legno (usato per i pavimenti della struttura) è tenace, intenso, flessibile ma robusto. Rifiuta la morte. Ma rimarrà nel labirinto per sempre, invocando la sua ipotesi di eternità.
Come il Black Metal.
Come gli Ulver.
Cambieranno le persone. Cambierà la musica. Pure i concetti trattati dalle canzoni: ma l’oscurità degli Ulver rimane e questa loro reincarnazione elettronica è forse più riflessiva. Sicuramente musicalmente meno aggressiva, ma l’aggressività non è solo dettata da suoni estremi e tempi esasperati. L’aggressività è anche oscurità e per quanto riguarda gli Ulver, quest’ultima viene forgiata con impegno, dedizione e sublime instabilità mentale.
Il concerto perfetto nella location perfetta. Un’esperienza catartica.
(Luca Zakk)