Questa è la mia prima esperienza come autrice per METALHEAD.IT e devo ammettere che non poteva esserci occasione migliore per lasciarmi travolgere dall’entusiasmo e raccontare una serata meravigliosa, di quelle che restano impresse nella memoria. Sicuramente mi farò trasportare dalle emozioni, anche a mente fredda, perché vivere lo spettacolo da spettatrice è stato incredibile, ma raccontarlo lo è ancora di più.

A differenza dei precedenti album della band, “Nell’Ora Blu” si distingue per una marcata riduzione degli elementi rock e una maggiore enfasi su atmosfere cupe e sintetizzatori, evocando le composizioni di maestri come Simonetti, Frizzi e Morricone. La narrazione, interamente in italiano, racconta una storia di violenza e vendetta negli anni ’70, rendendo l’album particolarmente accessibile al pubblico nostrano. Con una durata di oltre 77 minuti, l’opera si presenta come un’esperienza d’ascolto intensa e immersiva, che sfida le convenzioni tradizionali della musica heavy/psych. Alla guida di questo viaggio c’è Kevin Starrs (Uncle Acid), mente visionaria che ha scritto la storia, i testi, la musica e ha persino diretto gli interpreti. Un’impresa audace, con il rischio costante di scivolare nella caricatura,ma Starrs ha osato e ha trionfato, trasformando un genere di nicchia (il giallo poliziesco italiano degli anni ’70) in un’opera dal respiro internazionale. Non si è limitato a rendere omaggio a un’epoca: l’ha riportata in vita, immergendosi in un universo lontano dalla sua cultura d’origine e riuscendo comunque a renderlo autentico e credibile.

Appena entrata, l’atmosfera era già densa di aspettativa. Il pubblico, una miscela perfetta di fan di lunga data e curiosi attratti da questo progetto a dir poco unico, si preparava a essere travolto dall’onda sonora della band britannica. Le luci soffuse e le proiezioni rétro sullo sfondo hanno creato un ambiente surreale, quasi cinematografico, perfetto per immergersi nella storia poliziesca immaginaria raccontata. Il tutto rispettava anche la descrizione fornita dal frontman Starrs, che ha definito le esibizioni del tour come un’esperienza unica per il pubblico che “entra in un teatro per ripararsi dal freddo e si siede su una comoda poltrona, lasciandosi trasportare con la mente in un altro luogo”. Mai location fu più azzeccata.

Lo spettacolo si è aperto attorno alle 21:20 con una voce narrante chiara e profonda, cullata dal cinguettio degli uccellini, che ha introdotto lo show invitando il pubblico a non usare il proprio telefono e sottolineando che, se la band avesse voluto comunicare, lo avrebbe fatto con il proprio (poi si è capito il perché). Dopodiché è partita una dolce strimpellata di chitarra acustica evocativa delle colonne sonore, seguita da voci bianche e “pizzicate distorte”, troncate improvvisamente dall’inizio del primo brano dell’album (“Il sole sorge sempre”), lasciando il pubblico senza fiato.

Quando la band è salita sul palco, un’ondata di elettricità ha pervaso la sala. Oltre al frontman Kevin Starrs, erano presenti altri cinque “Deadbeats”, che hanno contribuito a creare un impatto sonoro potente e avvolgente. Il loro mix di doom, psichedelia e hard rock ha subito catturato il pubblico, trasportandolo in un viaggio sonoro che oscillava tra momenti ipnotici ed esplosioni di energia distorta.

È poi partita “Giustizia di strada – Lavora fino alla morte”, in cui la voce eterea e sinistra di Kevin Starrs si è intrecciata perfettamente con le chitarre distorte e la sezione ritmica martellante, creando un muro di suono avvolgente e irresistibile, così come in “La bara resterà chiusa”. La sua voce, magica e angelica, si sposava perfettamente con le atmosfere cupe e tetre dello spettacolo.

Seguendo la scaletta (“La vipera”, “Vendetta” (in cui il pubblico è stato anche guidato e invitato a battere le mani),” La bara resterà chiusa”,” Cocktail party”, “Il tesoro di Sardegna”), ogni pezzo o registrazione delle leggendarie voci di Franco Nero, Edwige Fenech e altri mostri sacri del cinema poliziesco italiano era accompagnato da un gioco di luci e immagini che rendeva il tutto ancora più immersivo. L’energia del pubblico era palpabile, e la band sembrava nutrirsene, regalando una performance sempre più intensa.

La storia di “Nell’Ora Blu” ruota attorno alla decadenza di Giovanni Scarano, un funzionario corrotto interpretato da Franco Nero, il cui destino è segnato da un complotto mortale. Per eliminarlo, Roberto Valente (Luc Merenda) assolda un sicario spietato, Alessandro Marchetti (Massimo Vanni), che si muove nell’ombra per portare a termine l’incarico. Sullo sfondo, l’affascinante ma enigmatica moglie di Scarano (Edwige Fenech) e il losco night club Il Gatto Morto fanno da cornice a una vicenda carica di tensione, che culmina con l’assassinio del protagonista, rappresentato nello spettacolo dal manichino della scenografia a cui è stata tagliata la gola, cospargendo l’installazione bianca di sangue rosso acceso.

Chiamarlo album sarebbe riduttivo. “Nell’Ora Blu” è un’esperienza sonora, un “audio-film” che non ha bisogno di immagini per proiettarti in un universo di ombre, vendette e mistero. Non è una semplice colonna sonora di un film mai esistito, perché il film è già tutto qui: nella trama, nei dialoghi, nelle voci degli attori, nelle atmosfere ipnotiche e inquietanti che avvolgono l’ascoltatore dal primo all’ultimo minuto. Non è solo musica, non è solo racconto. È un’allucinazione collettiva, un viaggio che ascolti ma, soprattutto, vedi con la mente.

A metà esibizione, quando è effettivamente partita “Nell’ora blu”, ho sentito la necessità di prendere appunti per realizzare che l’esperienza che stavo vivendo non mi stesse escludendo dal mondo, estraniandomi. Al contrario, mi sentivo totalmente inclusa nella narrazione. I tavolini con le lampade e i telefoni per inscenare le chiamate narrate sembravano quasi reali.

Con i successivi brani “Il Chiamante Silenzioso”,” Tortura Al Telefono”,” Il Gatto Morto”, fino a “Ritorno All’Oscurità”, la narrazione si è fatta sempre più avvolgente e chiara, mentre Rachel Burnett, con i suoi assoli di sax, ha regalato momenti ipnotici, illuminata da un gioco di luci perfetto. Abbandonarsi alle sue note cupe e ipnotiche è stato come varcare la soglia di un incubo psichedelico, una pellicola maledetta che prendeva vita davanti ai nostri occhi.

Il tempo è scivolato via e, quando l’ultima nota si è dissolta nell’aria con “Ritorno all’oscurità”, il pubblico è rimasto sospeso, quasi incredulo, prima di esplodere in un applauso fragoroso.

Ma il vero colpo di scena è arrivato alla fine: la band è tornata sul palco con i volti coperti da passamontagna, suonando caoticamente e veementemente mentre le immagini dello spettacolo scorrevano in rewind. Il set si è chiuso definitivamente con una toccante versione di “Bella Ciao”, che ha visto il pubblico unirsi in un coro emozionato.

Gli Uncle Acid & The Deadbeats hanno dimostrato di saper creare qualcosa di più di un concerto: un rito sonoro che lascia il segno.

Se c’è una lezione che questa serata mi ha insegnato, è che certe atmosfere non si descrivono: si vivono. E io ho avuto il privilegio di raccontarle.

(Aleksandra Katarina Klepic)

Foto: Federico Benussi