Certe serate, ne sei certo, ti lasceranno il sorriso stampato in volto. E così è stato, guarda caso: ho fatto la strada di rientro da Giavera del Montello con un sorriso ebete stampato in viso, convinto più che mai che certi concerti vanno vissuti in modo particolare, come si usava fare negli anni ‘80.
Ma andiamo con ordine. Intanto due parole per il locale. La mia prima volta al Benicio, locale accogliente come non ce ne son più. Lo vedi fin da subito che qui si fanno concerti dove il limite tra palco e pubblico è molto ma molto labile. Forse cornice migliore per i Voivod non si poteva desiderare…
Allora, veniamo prima agli Earth Ship. Il loro è un rock duro e roccioso, dalle forti tinte doom e stoner. Tre individui completamente avvolti da una plumbea penombra che confonde vista e sensi. Poche tracce ma lunghe, distese e solenni, pronte a rimarcare un genere che qui trova la sua dimensione migliore. Non certo un gruppo che si vede spesso, motivo in più per apprezzare le loro più che buone presenza e prestazione. Ma veniamo ai mattatori della serata, perché di questo si tratta, dei mitici e irriducibili pazzi canadesi, assurti al ruolo di icone di un modo intelligente e particolare di fare musica, capaci di continue reinterpretazioni di loro stessi negli anni (più di trenta, ridendo e scherzando…). Già li avevo visti sul palco del Gods un bel po’ di lustri or sono, ancora a pomeriggio poco inoltrato, ma devo dire che qui al chiuso, al buio, in mezzo a pittoreschi accoliti dalla dubbia sobrietà l’atmosfera era dannatamente migliore. L’eccitazione era palpabile… e poi scusate, ma se i Voivod mi entrano e mi cominciano il concerto con “Killing Technology” sai già che sarà una seratona. Subito una bomba vecchio stile per un gruppo che si trova evidentemente a proprio agio nella terra del tricolore.
Per nulla intimidito dal muro sonoro, il pubblico risponde subito con entusiasmo e calore, alimentato dall’evidente voglia del gruppo di fare una serata letale e distruggere quel poco di limite tra loro e il pubblico. Poi si ritorna subito al presente con un brano dall’ultimo ep. Incredibile come due pezzi separati da decenni di evoluzione musicale siano comunque marchiati Voivod fin al midollo. Il concerto è stato tutto un continuo rincorrersi di pezzi nuovi e vecchi, lasciando in disparte magari i periodi più smaccatamente sperimentali del combo. Certo, la furia provocata da “Voivod” e altri pezzi vecchia scuola annichilisce tutto il resto del repertorio, ed ecco che stage diving di pubblico e del gruppo stesso non è altro che una prova di una serata ineccepibile. Suoni mediamente buoni, esecuzione perfetta ma spontanea, batteria e basso che hanno macinato ritmi serrati per tutta la sera, il tutto gestito da persone con una tale esperienza alle spalle che quasi fanno passare in secondo piano il fatto che oggettivamente si sta parlando di gente tecnicamente mostruosa… Chiude la serata un encore composto unicamente dalla cover “Silver Machine” degli Hawkwind.
Come dicevo all’inizio, me ne sono andato ricreduto sul fatto che i concerti ‘come una volta’ esistono ancora…
(Enrico ‘Burzum’ Pauletto)