I Wolfmother sono probabilmente la rock band che più di tutte, al giorno d’oggi, incarna lo spirito musicale degli anni ’70 più ruvidi, quelli in cui il rock ‘n’ roll si stava trasformando in hard rock e l’hard rock stesso stava virando verso ciò che poi sarebbe diventato l’heavy metal. La band non fa mistero di questa predilezione per gli albori dell’heavy rock, anzi: il loro mix tra Led Zeppelin e Black Sabbath è ormai diventato un vero e proprio marchio di fabbrica.
Imperdibile, dunque, per gli amanti delle sonorità settantiane, questa data italiana (l’unica da headliner) degli australiani Wolfmother. Da buon nostalgico quale sono mi reco quindi al Circolo Magnolia, bella location immersa nel verde del Parco Forlanini di Milano, vicino all’aeroporto di Linate, per assistere a quello che si preannuncia come uno degli appuntamenti live più esaltanti dell’estate milanese.
Sono le 20:30, c’è ancora luce e Džemaili sta prendendo il palo che eliminerà poi la Svizzera dal Mondiale brasiliano, quando salgono sul palco le Deap Vally, duo californiano tutto al femminile dedito ad un ruvido garage rock a metà tra White Stripes e Led Zeppelin, il cui album di esordio è uscito soltanto un anno fa. L’impatto live della band è piuttosto spiazzante, essendo composta solo da batteria e chitarra/voce (come, appunto, i ben più noti White Stripes), ma bisogna riconoscere che le due girls ci sanno davvero fare e, tutto sommato, l’esibizione risulta molto piacevole, nonostante la maggior parte degli astanti ne approfitti in realtà per seguire il dopopartita sui maxischermi del locale o per mettere qualcosa sotto i denti in attesa del vero piatto forte della serata.
Dopo aver scattato qualche foto, mi sposto verso il fondo della location e, sorseggiando una birra, mi dedico quindi ad un’analisi socio-antropologica che potrebbe intitolarsi: “Qual è il pubblico dei Wolfmother?”. Ebbene, è interessante notare come questi ragazzi australiani riescano a coinvolgere un pubblico piuttosto eterogeneo: si va dalla mamma con il figlioletto di 10 anni, condotto lì a lezione di rock ‘n’ roll, al metallaro con la maglietta del Wacken, fino al rocker “da aperitivo” che il sabato sera va a scatenarsi nei locali rockettari del centro di Milano. E’ bello vedere un pubblico così vario, segno che la band riesce a farsi piacere ormai sia dai rockers che dai metallari più intransigenti.
Il Sole è ormai tramontato quando alle 21:30, puntuali come un orologio svizzero, salgono sul palco i Wolfmother. La prima cosa da segnalare, rispetto alla precedente esibizione italiana di due anni or sono a Vigevano, è il passaggio da una formazione a 5 elementi ad un trio di settantiana memoria, con il passaggio del chitarrista Vin Steele dietro le pelli e la fuoriuscita dalla band di Hamish Rosser e Elliot Hammond: bisogna riconoscere che, nonostante la band abbia inevitabilmente perso qualcosa in termini di impatto sonoro e scenico, la nuova formazione a 3 elementi funziona benissimo e, anzi, riesce a dare alla band un tocco vintage assolutamente in linea con la loro proposta musicale. Il trittico iniziale “Dimension”, “New Moon Rising” e “Woman” è veramente devastante, e già lascia presagire che le intenzioni dei tre ragazzi australiani siano quelle di fare un concerto che il pubblico milanese non dimenticherà tanto facilmente. Con la successiva “I Ain’t Got No”, tratta dall’ultimo lavoro “New Crown” (da poco uscito e scaricabile direttamente dal sito web Bandcamp) si vira verso sonorità più spiccatamente rock ‘n’ roll, mentre la successiva “White Unicorn” è un tributo alla psichedelia degli anni ’70. Il concerto procede con i grandi classici della band, quali “Joker and the Thief”, “California Queen” e “Vagabond”, anche se non mancano brani tratti dal loro ultimo album, quali la splendida title-track “New Crown”. C’è appena il tempo per un ultimo bis prima che, dopo oltre un’ora e mezza di ottima musica, la band si congedi salutando il pubblico accorso numeroso per questo ottimo concerto.
Una grandissima prestazione per i Wolfmother, che non hanno assolutamente tradito le attese ed hanno offerto una prova live energica e travolgente. Speriamo di rivederli al più presto dalle nostre parti.
Infine, una menzione speciale spetta al Magnolia e al suo staff. Mancavo da qui da diversi anni e devo dire che la qualità della location è veramente elevatissima: palco all’altezza, spazi funzionali, poche code alle casse, punti ristoro e bagni in ogni dove, prezzi onesti e, last but not least, dei suoni eccezionali, che hanno reso giustizia all’ottima performance dei Wolfmother. Bravi ragazzi!
(Francesco Tortora)